Ruby all'uscita del palazzo di Giustizia di Milano (Foto La Presse)

Innocenti bugie e toghe spudorate

Redazione

Il processo d’Appello a carico di Silvio Berlusconi, condannato in primo grado alla pena incredibile di sette anni di carcere ruota sull’innocente bugia della “nipote” di Mubarak.

Il processo d’Appello a carico di Silvio Berlusconi, condannato in primo grado alla pena incredibile di sette anni di carcere, ruota, come ammette il sostituto procuratore generale Pietro De Petris, sull’innocente bugia della “nipote” di Mubarak. Insomma una spudoratezza infantile e giocosa (nell’ipotesi peggiore) dovrebbe produrre una pena di sette anni? Se poi si va a esaminare gli argomenti secondo cui l’ex premier deve essere giudicato da un tribunale ordinario e non da quello dei ministri, si scopre che Berlusconi avrebbe “abusato della sua qualità” di presidente del Consiglio e non della sua carica, il che comporterebbe un abuso di ufficio di pertinenza, per un membro del governo, dello specifico organismo giudicante. La distinzione tra la qualità di premier dalla funzione di premier è un capolavoro di sottigliezza da azzeccagarbugli, che rimanda più alle disquisizioni medievali sul sesso degli angeli che a una cultura del diritto basata sull’evidenza dei reati, come dovrebbe essere in base all’ordinamento in vigore.

 

La “concussione per costrizione” che sarebbe stata commessa nei confronti di un funzionario della questura è un’elucubrazione allucinante. Ci si arrampica sugli specchi, per trasformare una vicenda, che ruota attorno a un’eventuale bugia infantile, in un reato odioso. La strumentalità politica è talmente evidente che non viene neppure negata, in realtà viene esibita e si chiede di confermare una condanna politica e solo politica, proprio perché si mette in luce l’esilità logica, che non copre la sostanziale contraddittorietà dell’impianto accusatorio. Per condannare Berlusconi in primo grado sono stati trascurati i dati più elementari del diritto, ora l’accusatore chiede con spudoratezza di ripetere consapevolmente quell’abuso: un’enormità in uno stato di diritto.