Matteo Renzi (foto LaPresse)

Conti, economia, Europa. Il dossier choc da 24 mld sul tavolo di Renzi

Claudio Cerasa

Il governo tra ottimismo per le riforme e preoccupazione sui dati autunnali. L’affondo del Wsj, la ricerca del colpo. Occhio al 20 settembre

Roma. C’è una data fissata sul calendario di Palazzo Chigi che avrà un significato politico persino più importante del 14 luglio, giorno in cui sarà votato al Senato il pacchetto delle riforme costituzionali, persino più importante del 30 settembre, giorno entro cui dovrà essere presentata in Cdm la riforma della giustizia, e persino più importante del 21 settembre, giorno entro cui Renzi ha promesso che sbloccherà il pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione. La data coincide con il 20 settembre e sarà una data chiave per capire quale sarà il destino del governo. Entro questa data il presidente del Consiglio deve presentare alle Camere la nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza. Ed entro questa data si comprenderà definitivamente se il governo riuscirà a scongiurare un rischio di cui Renzi è consapevole e che ieri è stato segnalato in maniera spietata da due importanti testate teoricamente non ostili al presidente del Consiglio.

 

Siluro numero uno, via Wall Street Journal: “Nonostante gli eloquenti e appassionati appelli alla crescita del primo ministro italiano Matteo Renzi, difficilmente la Commissione europea concederà al premier e al suo paese una qualunque apertura sul fronte dei regolamenti di bilancio”. Siluro numero due, via Economist: “Il capo del governo di Roma è al centro di una domanda persistente: può davvero salvare l’Italia? Finora il suo risultato più importante è stato lo sgravio fiscale a favore dei bassi redditi. Tuttavia, restano dei dubbi sulle sue possibilità di successo sul fronte delle riforme”. Il fatto che le due bordate arrivino da due giornali anglosassoni, culturalmente lontani dalla dottrina rigorista tedesca, segnala che fuori dall’Europa esiste una preoccupazione reale legata al destino di Renzi e in particolare alla capacità del giovane premier italiano di conquistare ai punti una vittoria con la cancelliera tedesca. Il tema della flessibilità sì flessibilità no è un tema che al di là di uno spin fatto di molti sorrisi spaventa tanto Palazzo Chigi quanto il ministero dell’Economia e il terrore manifestato in questi giorni da alcuni importanti esponenti del governo è riassumibile con queste parole: “Quello che verrà concesso in Europa all’Italia non sarà sufficiente per disinnescare una bomba da 24 miliardi che si intravede nell’orizzonte del governo”.

 

[**Video_box_2**]Giovedì Renzi ha ripetuto che nonostante la congiuntura non favorevole – con la disoccupazione che non scende, il pil che non risale, la produzione industriale che crolla, il debito che non la smette di aumentare – non sarà necessaria una manovra correttiva. Ma per quanto possa essere enorme l’ottimismo di Renzi nel momento in cui i ministri torneranno dalle vacanze dovranno trovare un modo per fare quello che finora non sono riusciti a spiegare e che andrà illustrato in quel lasso di tempo che va dal 20 settembre alla fine di ottobre: ovvero tra l’aggiornamento del Def e la presentazione della legge di stabilità 2015. Insomma: Renzi dove troverà i 10 miliardi che gli occorrono per trasformare gli 80 euro in misura strutturale, i 5 miliardi che gli occorrerebbero per estendere come promesso il bonus degli ottanta euro ai pensionati e ad altre categorie meno abbienti, i 5 miliardi che gli occorrono per rifinanziare cassa in deroga e missioni all’estero, i 4 miliardi che occorrono per rispettare la clausola di salvaguardia presente nella legge di stabilità del 2013 e gli altri miliardi che il governo rischia di dover mettere da parte per far fronte alle avverse e peggiorate condizioni economiche? Per quanto sia grande l’ottimismo del governo rispetto al capitolo delle riforme e per quanto possano essere importanti gli obiettivi relativi al capitolo spending review (4,5 miliardi nel 2014, 17 miliardi nel 2015, 32 miliardi nel 2016) a Palazzo Chigi ammettono che senza un “aiuto” dell’Europa il governo rischia di ritrovarsi con una patata bollente con cui sarebbe impossibile non ustionarsi. Nel lessico renziano la parola “aiuto” coincide con quattro richieste che verranno formalizzate nei prossimi mesi dal ministro dell’Economia: dare alle imprese dei paesi periferici la possibilità di accedere con facilità ai fondi della Banca europea degli investimenti (possibile), rinviare al 2016 il pareggio di bilancio previsto per il 2015 (possibile), caricare sul debito e non sul deficit i miliardi di euro che il governo dovrà sbloccare per i pagamenti alla Pa (possibile), mettere in campo una politica di negoziazione per creare del debito europeo finalizzato agli investimenti pubblici e non alla spesa corrente (complicato). I dossier economici preoccupano a tal punto che a Palazzo Chigi c’è chi sostiene che Renzi stia cercando di provare un colpaccio: spingere in Europa non Federica Mogherini ma Padoan a capo dell’Eurogruppo. Mossa difficile. Ma l’autunno preoccupa Renzi. E qualcosa dal cilindro il presidente del Consiglio sarà costretto a tirarla fuori. Sperando che una magia (e non nuove tasse) sia sufficiente a far comparire dal cilindro molti, ma molti miliardi di euro.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.