La sede del Banco Espirito Santo (Foto Ap)

Bank attack

Marco Valerio Lo Prete

Un istituto portoghese non basta a rinfocolare lo spread. Ma in autunno c’è un’incognita per Roma.

Roma. Dal Banco Espirito Santo, in Portogallo, ieri non è partito lo tsunami di instabilità finanziaria che qualcuno – soltanto 48 ore fa – temeva. Tuttavia i timori nati all’improvviso sulla solidità della prima banca di Lisbona assomigliano alle prove generali di quello che potrà accadere tra ottobre e novembre, quando saranno resi noti i risultati di Asset quality review (Aqr) e stress test della Banca centrale europea sugli istituti di credito dell’Eurozona. Il governo italiano – concordano gli analisti – anche di questo dovrà tenere conto nel programmare la sua agenda futura.

 

Ieri Piazza Affari, segnando più 0,62 per cento, è stato il listino migliore del continente. Soprattutto è rientrato un “allarme spread” suonato dopo mesi di calma: il differenziale tra Btp decennali italiani e Bund tedeschi ieri è calato a 169 punti, dopo aver toccato quota 176 il giorno prima. Ieri sono andate bene le aste di Btp a 3, 7 e 15 anni e il Tesoro ha così completato il 65-70 per cento del proprio programma di emissioni per il 2014. “L’allargamento contenuto dello spread è stato dovuto a un abbassamento dei rendimenti tedeschi, ancora considerati bene rifugio per eccellenza – dice al Foglio l’analista di una banca inglese – Non c’è stata una fuga da mercati liquidi come quello dei titoli di stato italiani”. Buona notizia, dunque. Che però ieri non ha impedito alla stampa finanziaria anglosassone di chiedersi: davvero l’Ue è riuscita a tagliare il cordone ombelicale che lega istituti di credito e stati sovrani? Uno dei principali obiettivi dell’Unione bancaria doveva essere proprio questo: rafforzare la vigilanza comune, rendere più fluida la strada per la ristrutturazione delle banche in difficoltà, senza pesare sulle finanze pubbliche e senza intimorire i cittadini (contribuenti o correntisti che fossero). Solo che un’Unione bancaria avviata nel 2010 con l’idea originaria di una tutela comune dei depositi diverrà operativa alla fine dell’anno senza tutela comune (per l’opposizione tedesca) e con una vigilanza centralizzata e moderatamente arcigna.

 

Tra ottobre e novembre saranno resi noti gli esiti di Aqr e stress test della Bce: “Con la pubblicazione dei risultati degli esami su 130 banche, e l’annessa quantificazione delle necessarie iniezioni di capitale, quello di 48 ore fa del Banco Espirito Santo potrebbe essere ricordato come un ‘antipasto leggero’ dell’instabilità dei mercati che vivremo. Con la differenza che in autunno l’incertezza sarà generata non dall’opacità dell’informazione su un singolo istituto, ma dal faro di luce puntato sul settore”, dice al Foglio Carlo Milani, analista del Centro Europa Ricerche. Non a caso Danièle Nouy, presidente del Consiglio di vigilanza Bce, di passaggio a Roma per incontri in Banca d’Italia, ha invitato di nuovo gli istituti di credito a rivolgersi adesso ai mercati per irrobustirsi: “Da ottobre il mercato azionario potrebbe essere affollato”. E’ innanzitutto agli investitori privati, infatti, che sono tenute a rivolgersi le banche giudicate troppo deboli dalla Bce. L’Unione bancaria, a pieno regime dal 2016, prevede che azionisti e creditori delle banche subiscano perdite prima che possa intervenire lo stato. Ma dall’ottobre 2014 al 2016 c’è una sorta di limbo in cui la discrezionalità degli stati è maggiore. Questa settimana il governo tedesco, per rassicurare i contribuenti, ha approvato in anticipo quattro leggi per applicare il “bail-in” da subito. Secondo quanto risulta al Foglio, il Tesoro italiano, con il supporto tecnico della Banca d’Italia, sta lavorando al dossier. Prima per istituire un “backstop” nazionale che intervenga in caso d’emergenza. Solo poi verranno le norme sul bail-in.
 

 

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