Mellissa Vigil e Cidney Marsh baciano il piccolo Koston Vigil-Marsh, 8 mesi durante una manifestazione per il matrimonio gay a Salt Lake City (Foto Ap)

La Natività gay e la scomparsa della “grande famille”

Adriano Scianca

La “distruzione della famiglia” non è scandita dai ritmi techno del pride ma ha avuto inizio quando qualcuno ha cominciato a considerare quel fatto eminentemente sociale come un affare individuale.

Dicono di amarsi, Bj Barone e Frankie Nelson, e in fondo chi siamo noi per contraddirli. Si amano fra loro e a loro volta amano il piccolo Milo, dicono, di un “amore puro e incondizionato”, con una triangolazione che rimbalza sul web e lo “commuove” e lo “emoziona”, anche se poi, dati alla mano, nel momento esatto in cui lo scatto sull’omoparto è stato diffuso in rete un utente su tre stava più prosaicamente consumando pornografia. Il popolo del web non vota, non lotta e neanche si emoziona, al massimo digita “milf” nella barra di ricerca. Ma che importanza ha, l’amore in fondo ha mille volti, a parte forse quello stravolto della mamma surrogato, dribblata da questa ondata di amore ubiquitario. Non era dalla generosità del fornaio che Adam Smith sperava di ottenere il suo pranzo e non è dal sorriso materno di un utero in affitto che noi speriamo di ottenere nostro figlio. Ma al netto della donna ritrovatasi di nuovo incubatrice dopo il suo viaggio al termine dei diritti, c’è poco da recriminare contro quei due ragazzi con nomi da dj: appellandosi alla cassazione dell’amore hanno solo allargato un po’ le maglie della logica dei loro avversari.

 

La “distruzione della famiglia” non è scandita dai ritmi techno del pride ma ha avuto inizio quando qualcuno ha cominciato a considerare quel fatto eminentemente sociale come un affare individuale. Un ego, un altro ego, un sentimento messo a contratto, una prole come diritto: una volta imboccato questo piano inclinato, come fermarsi a bagatelle come il genere dei contraenti? Il problema di chi parla della “famiglia tradizionale”, in effetti, è sempre quello di sapere di quale tradizione si sta parlando. “All’inizio del Medioevo – spiega Alain de Benoist, nel suo “Famiglia e società”, recentemente tradotto da Controcorrente – l’idea di costruire un’unione coniugale su una base fragile come l’amore sembrava ancora incomprensibile”. Solo all’epoca dei Lumi “il matrimonio diventa ciò che ancora non era mai stato: un contratto privato stipulato tra due individui sulla base di un sentimento che li avvicina”. Prima di diventare efflorescenza ombelicale, la famiglia non sa di “sentimenti” o tanto meno di “diritti” ma è piuttosto il fattore per antonomasia del dinamismo sociale. E’  nota la tesi di Lévi-Strauss: in ogni società, gli uomini non possono contrarre unioni sessuali e matrimoniali all’interno di una sfera di individui di sesso femminile (proibizione dell’incesto).

 

Solo vietandosi alcune donne i maschi possono stabilire le prime relazioni sociali. Per esserci un nuovo nucleo, devono sempre pre-esistere altre due famiglie da cui derivino i suoi componenti maschili e femminili. Il tutto a partire dallo “scambio delle donne”: la formula è brutale quanto basta per richiamare durezze ancestrali irriducibili alla logica del sentimento passepartout. Così come lascia spiazzati i sostenitori improvvisati della “famiglia tradizionale” tutta uomo-donna-pargoli l’immagine della “grande famille” che secondo il linguista Emile Benveniste costituiva il modello familiare indoeuropeo. Un aggregato organico, comprendente una ventina di membri, ma a volte fino a settanta, addensatosi attorno a un capofamiglia secondo ruoli ben definiti: i nonni, i figli sposati, le loro mogli, i loro bambini, i figli e le figlie non sposati. Le figlie sposate, invece, facevano parte a tutti gli effetti della famiglia del marito, essendo il matrimonio per l’appunto il rito attraverso il quale la donna diviene madre legittima, facendo il suo ingresso in un lignaggio che non è quello naturale. Sempre Benveniste ha ricordato che la famiglia, per l’uomo indoeuropeo, è solo una delle quattro cerchie dell’appartenenza sociale, le altre essendo il clan, la tribù e la nazione, ma dove quest’ultima è originaria e non derivata. “La famiglia (*dom) è l’aspetto transitorio di una entità perenne, la stirpe; su questa nozione si fonda ogni diritto di famiglia” (Jean Haudry). Sono questi i “variopinti legami” di marxiana memoria che la borghesia affogherà nelle stesse “acque gelide del calcolo egoistico” che hanno fornito il primo bagnetto al piccolo Milo. Lui avrà almeno quattro genitori (due padri legali, una madre biologica e una mamma surrogato). L’erosione individualista della famiglia ne ha molti di più.
Adriano Scianca

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