Matteo Renzi e Silvio Berlusconi (Foto La Presse)

L'asse Cesano Boscone-Nazareno

Salvatore Merlo

Il serraglio è composito, c’è Beppe Grillo mangiafuoco, “Renzi è un ebetino” ma “il confronto resta aperto”, ci sono poi i rinfocolatori di Forza Italia.

Roma. Il serraglio è composito, c’è Beppe Grillo mangiafuoco, “Renzi è un ebetino” ma “il confronto resta aperto”, ci sono poi i rinfocolatori di Forza Italia, “ci vuole un compromesso tra Senato elettivo e Senato non elettivo”, annuncia misterioso Renato Brunetta, e c’è infine Corradino Mineo, con Felice Casson, Pier Luigi Bersani e la banda del sabotaggio democratico. E insomma l’italia politica è tutto un marasma su cui volteggiano Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, che per esperienza e pedigree più di tutti sanno che in Parlamento i gruppi sono collegati da un dedalo di strade, di passaggi, di sentieri sottomarini: una terra di avventure per Verdini il marinaio. E infatti mentre nel Pd, al Nazareno, si fa baruffa fino a tarda sera, “la riforma del Senato va rinviata almeno di una settimana”, e mentre nei corridoi di Forza Italia si riversano miasmi di corte, veleno contro Paolo Romani che difende la riforma, “si deve dimettere”, e insomma mentre in superficie tutto scoppietta e ribolle, ecco che invece sotto il pelo dell’acqua il patto tra Berlusconi e Renzi tiene, e con il sigillo di Mediaset. “Poche chiacchiere”, tuìtta Renzi: “Grillo che vuole?”.

 


E insomma in questo marasma il presidente ragazzino si muove con sicumera, e per questo ieri ha cancellato l’incontro con Grillo. “Non possiamo farci menare per il naso”, spiega uno dei suoi migliori amici, e d’altra parte a che serve perder tempo se i voti ci sono, e sono quelli di Forza Italia? “Annullando l’incontro abbiamo svelato il grande bluff”, dice per esempio Simona Bonafé, “adesso Grillo rimanda i suoi parlamentari sul tetto”. Dunque Renzi è spavaldo, ha la parola di Berlusconi, di Silvio e di Pier Silvio (“mi auguro che Renzi ce la faccia”, ha detto il giovane Berlusconi al Corriere della Sera), e conserva in tasca i numeri e le rassicurazioni controassicurate di Verdini. C’è l’azienda e c’è la politica, c’è la paura e c’è la speranza, persino Daniela Santanchè, passionale, dura, è sottilmente renziana, cinica e consapevole, scettica ma realista: “Non si può che fare così”, mormora. E non passa giorno che il telefono di Luca Lotti, sottosegretario, braccio destro di Renzi, non squilli, dall’altro lato della cornetta c’è il Denis, fiorentino volante che, stanco ma sicuro di sé, conferma: i senatori sono 320, perché la riforma passi ce ne vogliono 214, “e in tutto tra noi e voi ne abbiamo almeno 218”. Berlusconi ha annullato la riunione dei gruppi parlamentari che oggi avrebbe dovuto decidere come comportarsi sulla riforma del Senato, “basta con le giostre”, pare abbia detto, incapace, pure, com’è, d’esercitare fino in fondo la sua autorità padronale. Ma questo è il sommerso.

 

In superficie è tutto un far di conto, un’agitarsi di capannelli in Senato e a Montecitorio, di sussurri, di piccole trame, di polpette al veleno offerte ai giornalisti nella penombra d’un corridoio: qualcuno va persino in giro a dire che Maria Rosaria Rossi, l’assistente del Cavaliere, diffida di Verdini e dei suoi calcoli, “non li tiene i nostri cinquantanove senatori e il patto con Renzi vacilla”, mentre nel Partito democratico risorge la voce dimenticata di Bersani, e i trentacinque senatori ribelli, riuniti al partito, fino a sera, vivono irripetibili momenti di gloria e di celebrità, attimi di scapigliatura antirenziana, una rivincita postuma, una rivolta che li proietta sui giornali e in televisione, mentre anche nel nuovo centrodestra, nella pozza centrista, Antonio Azzollini e Roberto Formigoni si fregano le mani. E tutti sono contro “il Senato dei non eletti” ma ciascuno contesta la riforma di Renzi per una ragione diversa. In molti temono di non essere più candidati, mentre altri, nei partiti minori, pensano d’usare la riforma del Senato come un oggetto di scambio per trattare sulla riforma elettorale. Ed è un intreccio inebriante di tatticismi, problemi personali e tentativi di vendetta (nel Pd), umori e timori (in Forza Italia), piccoli ricatti neodemocristiani: “Non sarebbe male abbassare la soglia di sbarramento dell’Italicum”, ha confessato ieri ai suoi ragazzi Angelino Alfano. E insomma tutta una confusione su cui precipita, preoccupato e pure scombiccherato, Grillo, cui Renzi, “ebetino” con cui “il dialogo non è chiuso”, per la prima volta ha rivolto lui una pernacchia: “Io sono un ebetino, ma almeno voi avete capito quali sono gli otto punti su cui il M5s è pronto a votare con noi?”.

 

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.