Buttanissima Rai

Pietrangelo Buttafuoco

Con un direttore generale che non riesce nemmeno a farsi ricevere da Renzi, il potere in Viale Mazzini è in mano ai soprastanti. Che fanno a gara nell’offrirlo al vincitore.

Certo, uno dice: “Che bisogno c’è di Gubitosi?”. Il “Porta a Porta” è prêt-à-porter. Matteo Renzi pianta in asso i meglio giornalisti europei. Lo attendono per la sua conferenza stampa d’esordio al Parlamento di Strasburgo e lui, marameo, infiocchetta la grande pupiata. Porta il suo spettacolare discorso alle nazioni sulla poltrona di Bruno Vespa atterrato all’uopo. Per la bisogna. Ed è subito messa. Cantata.

 

Certo, uno pensa: “E perché mai, Renzi, dovrebbe toglierlo Gubitosi?”. Tutto, a Viale Mazzini, volge in parodia. Il “si contenga” di Silvio Berlusconi rivolto a Michele Santoro – quello che determinò l’editto di Sofia, con la cacciata del Conduttore unico delle coscienze – si ripete con il battibecco tra Matteo Renzi e Giovanni Floris.

 

Certo, solo i poveri di spirito possono pensare a chissà quale retroscena. Floris, che non ha la maestria professionale di Vespa, nella sua stagione peggiore lascia e quadruplica il suo reddito. E’ un colpo di scena, più che un retroscena. Floris si assicura l’allure di foglia di fico dell’anti-renzismo, guadagna punti in società, diventa la Barbara Spinelli dei televisivi, sorpassa orchi di antico pelo come Santoro e sempre senza dire il vero motivo del passaggio dalla Rai a La7. Dire, semplicemente, “vado di là perché mi danno più soldi, sarò il Mike Bongiorno di Urbano Cairo”. Ma come al solito, invece, riversa la retorica rivelatrice di un’arcitaliana disonestà, quella del linguaggio. Più che un lapsus, è un vomitino etico: il mettersi in prova, la sfida, il grazie-prego-lo farò. Tutto questo nel frattempo che la Rai – la prima fabbrica culturale d’Italia, opificio di consenso e ammaestramento – si conferma un seminativo dove ben altre sono le cavallette che vanno a funestarne i raccolti.

 

La Rai – il cui attuale viceré è, appunto, il direttore generale Luigi Gubitosi – è il feudo madre del regno del potere ed è spogliato giorno dopo giorno di blasoni, titoli, signorie e proprietà da sovrastanti esterni che di tutta quella roba ne stanno facendo un sol boccone. Sono come i Calogero Sedara che mangiano in testa ai meglio principi di Salina. Sono gli agenti delle star, sono i Beppe Caschetto, artefice della trattativa triangolare Floris-Rai-La7 – con licenza di rosicchiare e dettare usucapione su fasce orarie e palinsesti – sono i Lucio Presta, titolare del brand “Benigni” e perciò autorizzato a imporre sottomarche varie. E sono anche i tanti della grassa fascia di esterni, il corpaccione con potere di capolarato che – giorno dopo giorno – mettono mano a un possedimento dove il viceré è delegittimato al punto di non poter far sopravvivere il feudo senza i soprastanti.

 

Forse sono solo escamotage non potendo, di fatto, privatizzare ma la Rai che non aveva rivali nella creazione del prodotto, adesso ce li ha. E ce l’ha, i rivali, in ragione del principio di Vladimir Il’icˇ Ul’janov Lenin: “Ci venderanno la corda con cui l’impiccheremo”. Il format è solo un aggiornamento dell’esproprio proletario e se solo si trovasse il modo di far gocciare un liquido sul palinsesto Rai, una sorta di acqua rivelatrice, su ogni titolo, su ogni programma ne verrebbe fuori tutta la nudità del vicereame. Tutta la signoria sarebbe svelata in ragione dei produttori esterni – veri titolari delle stagioni Rai – padroni di un racconto di roba degno della letteratura di raffinata rapina, da Mastro don Gesualdo in poi. Tutto secondo regola, per carità, ma un Giancarlo Leone – direttore di Rai 1 – ha meno potere di un Giorgio Gori (e non certo perché quest’ultimo è sindaco di Bergamo) e i direttori, come i predecessori, e così i successori di Giankaleone, hanno solo rogne. Addolcite, sovente, da inviti alle feste.

 

Tutto è secondo regola, ci mancherebbe, esiste un meccanismo, in Rai, il cosiddetto Job Posting, attraverso il quale le produzioni interne sono tenute a reclutare “prima i dipendenti e dopo gli esterni” ma, vedi caso, se per “Report”, la trasmissione cult con la schiena dritta si può capire – collezionano quattro denunce per ogni servizio, dunque occorre una professionalità modello contractor – non si capisce perché per “Uno Mattina” gli interni possono trovare solo posti di desk e mai quelli operativi.

 

Certo, è un affascinante romanzo, la Rai. Federico de Roberto ci vuole, o magari anche un verista di risulta che la dipani la vicenda perché tutti quei beni al sole che se ne vanno in polvere, si appaltano, si spezzettano e poi, certo, ci vuole uno dell’abilità di Caschetto per affrontare la trincea dei contratti pluriennali quando anche un vecchio lupo come Bibi Ballandi – nella cui scuderia c’è il meglio del varietà, Rosario Fiorello in testa – esce spelacchiato in questa corrida. E il viceré, in questo canovaccio, il direttore generale che tanto ha fatto nel mettere i conti a posto, si ritrova esautorato.

 

La cinica città di Roma se la gode a raccontarlo, il viceré, frastornato nel tentativo di incontrarlo, Renzi – finalmente – e riceverne sempre un ruvido no. Eppure il suo lavoro lo fa, Gubitosi. E’ uomo di numeri e non di prodotto, è vero, ma ha ricevuto la tagliola dei 150.000.000 di euro. L’austerity gli incombe, avverte la frustata imposta da Renzi ma se un Urbano Cairo taglia sul Viavà della mobilia e spulcia i buoni taxi per poi sfondare di milioni Floris, il dg della Rai, costretto al digiuno, si ritrova a dovere togliere 240.000 euro ai dirigenti. Opera meritoria, certo, però questi signori non sono dipendenti pubblici, perciò faranno partire presto i ricorsi (da cui, verosimilmente, ne ricaveranno oltre al parere positivo, ancora molti più piccioli) e Gubitosi, tecnico giunto in epoca tecnica, non ha padrini cui farsi dare ossigeno. Almeno non in buone condizioni di potere.

 

La tagliola è una tagliola. E Gubitosi non è, comunque, come una Lorenza Lei che s’appoggiava a Santa romana chiesa per tramite di Tarcisio Bertone. Piuttosto è la duchessa di Leyra: preda delle innocenze lussuose. Esilarante, infatti, è tutta la ristrutturazione della sede Rai di via Goiran a Roma. E’ l’ufficio di Rai Expo che, di suo, sarebbe a Milano. E’, appunto, il vanto dell’Expo (di Milano), sede per gli incontri del Dg con le delegazioni straniere dirottate da Milano a Roma. Ed è un appartamento prestigioso con mansarda annessa elevato a dominio incontrastato di Caterina Stagno (responsabile a Roma di Rai Expo di Milano) che con i suoi programmisti registi realizza a Roma spot per l’Expo (di Milano).

 

La tagliola è una tagliola e quella del non riuscire a farsi ricevere è una gag in cui grande parte in commedia ha il dirigente Rai Luigi De Siervo, l’amico numero uno di Matteo Renzi, protagonista la scorsa settimana della “Leopolda in Rai”, nonché ideatore della Leopolda doc, cioè il San Sepolcro del renzismo e dunque considerato commissario de facto di Viale Mazzini. Ebbene, osservate la scena. De Siervo entra in Rai. Sceglie l’ingresso laterale e discreto di via Pasubio. Lui non è popolarissimo ma in quei corridoi è come Totti alla Garbatella. Non è un districarsi tra richieste di autografi ma di selfie sì – è la tendenza, no? – dopo di che, un sussurro: “Organizzi un incontro con Matteo?”. Entra in ascensore e trova sempre qualcuno: “Un incontro con Matteo, quando?”. In ogni piano, lo stesso copione: “Matteo, lo vediamo?”. Come nei piani bassi, così più in alto, fino al settimo. Gubitosi in persona: “Si può vedere o no questo Matteo?”. Ma De Siervo non può, non vuole o non riesce. E nel frattempo non comanda nessuno.

 

Non si fa vedere Matteo ma i rituali di compiacenza verso il premier sono scene di uno Ionesco in trasferta al quartiere Prati ma prima di procedere oltre si deve partire da un dato, questo: gli antiberlusconiani sono diventati antirenziani. Fuori Floris, il campione numero uno in Rai è Bianca Berlinguer, il glamour è vincolato all’antagonismo culturale, è ovvio. La ridotta degli irriducibili è anche la palestra di talenti e di retorica, sono fichissime foglie di fico e quasi tutti (non la Berlinguer, ovvio) stanno sotto l’ala di Caschetto e forse è in virtù di questo cortocircuito che la Rai dell’anno uno dell’ER (Era Renziana) ha affidato la presentazione del nuovo palinsesto a Cristina Parodi. Non per buttarsi con la scienza di Umberto Eco ma, manuale di semiologia alla mano, se proprio si deve cercare un volto Mediaset, quello è: “Vorrà dire”, mi dice un conduttore, “che l’anno prossimo ci sarà Gerry Scotti a presentare”. Sempre che abbia una moglie sindaco del Pd da qualche parte…

 

Non si fa vedere, Matteo, ma siccome anche in epoca di berlusconismo imperante con il Caimano si stabiliva una mediazione, con Renzi che è doppiamente Caimano, i personaggi in cerca di cadrega, hanno aggiornato lo schema. Per ogni premier – si sa – l’abbraccio della Rai è come il far l’amore con una mignotta. Dopo – si sa, lo sanno tutti anche se non lo ricordano – ne arriva un altro. A Renzi, che è un premier così speciale, la mignotta gli dà l’impressione di essere calda e innamorata. Certo che poi uno pensa: “Che motivo c’è, infine, di togliere Gubitosi?”.

 

Matteo non si fa vedere ma tutta l’acqua Rai gli va per l’orto. Non necessita di patti scellerati. L’azienda, nel frattempo che i soprastanti riempiono le caselle del palinsesto, naviga in cerca di mari calmi e si fa – more solito – democristiana se nella folla di potentissimi militi del Partito Rai, svetta di sussiego e dominio, Alessandro Picardi, responsabile delle Relazioni istituzionali, fidanzato di Beatrice Lorenzin, un simpatico sherpa d’eccellenza che non mancherà mai di tatto e garbo col più esagitato dei combattenti, con un Leonardo Metalli per esempio – già amico di Augusto Minzolini – adesso dato in quota anti casta, grillino perfino. E si sa, lo diceva Archimede: “Datemi un Ncd e vi solleverò, se non lo share, la Rai!”.

 

Ma i renziani difficilmente si faranno fregare, titanica è la lotta tra il bene e il male, tra il nuovo e il vecchio, tra Renzi e Gubitosi, tra canone ed evasione, tra questo e quello per poi risultare nel tutto. Quando si lavora in Rai si firma un’autocertificazione, una cosa come “non ho famiglia”, ma sono tante le fidanzate da poter fare un ramo SposeRai laddove in luogo del canone pagare direttamente gli alimenti. Ovviamente vale anche FiglieRai, NipoteRai, tutto è una dinastia, tutto è un’unica terrazza e i renziani, che dovranno pur fare i conti con la realtà, devono pur sapere la regola delle regole per muoversi in Rai: la tivù è solo quello che va in onda.

 

Matteo non si fa vedere ma nel primo palinsesto del dopo Leopolda i renziani non hanno dato fondo alla fantasia, anzi. Il nuovo palinsesto è uguale a quello di trenta anni fa: Raffaella Carrà, Roberto Benigni e l’unica ghiottoneria, Fiorello, è in forse.
Certo, le Leopolde hanno preso il posto delle Matrone (a proposito, la calabresissima Anna La Rosa ha fatto avere ad Andrea Vianello, direttore di Rai 3, una copia di “De brevitate vitae” di Seneca con tanto di scheletro in copertina…) e la battaglia campale, quella del rinnovo della concessione del canone la cui scadenza è prossima, nel 2016, non sembra essere condotta sul terreno più ovvio e più patriottico. Per esempio far pagare la quota alle multinazionali del web che si portano via, dai loro affari risolti in Italia, decine di miliardi senza pagare tasse. Dopo di che, certo, Gubitosi resta. E’ l’uomo giusto. Anche perché, uno dice: “De Siervo non può, non vuole o non riesce”.

 

Renzi non è Giuditta e non ha motivo di fare di Gubitosi un Oloferne. Tempo verrà e si metterà mano a tutto. Campo Dall’Orto si prenota per il ruolo de “il Marchionne della Rai” ma affinché possa spendere e spandere come già fece nella sperimentale Mtv necessita di un vicereame coi soprastanti al posto loro e senza essere un viceré costretto a controllare l’acqua calda nei bagni e, dunque, come farà? Tempo verrà e sarà anche epoca di clamorosi ritorni. E in questo trionfo d’infanzia abbandonata – questa è la situazione in Rai – la discesa in campo di uomini che la tivù l’hanno inventata potrebbe essere il doppio colpo di scena. Per azzerare ogni retroscena.

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  • Nato a Catania – originario di Leonforte e di Nissoria – è di Agira. Scrive per il Foglio.