Giorgio Faletti (foto LaPresse)

Giorgio Faletti

Maurizio Crippa

Viva Catozzo e gli altri. Un artista che faceva scoppiare la lingua e le idee come oggi non si può più Porch’il mond che c’ho sott’i piedi! e Minchia signor tenente, gli s-ciopponi di Suor Daliso, il giumbotto di Carlino e i terronisti di Vito Catozzo, la “gente senza una credenza” persa tra “Sofocle e gomorra”, fino ai titoli sempre eccessivi, “Io uccido”...

Porch’il mond che c’ho sott’i piedi! e Minchia signor tenente, gli s-ciopponi di Suor Daliso, il giumbotto di Carlino e i terronisti di Vito Catozzo, la “gente senza una credenza” persa tra “Sofocle e gomorra”, fino ai titoli sempre eccessivi, “Io uccido”, “Tette a lampadina”, “Appunti di un venditore di donne”. La facilità di far scoppiare la risata dalla lingua, o far scoppiare la lingua e basta, prima o anche senza che ne fuoriesca il contenuto, è quel che fa i bravi comici di cabaret, e i bravi parolieri di canzoni. Epperò se si è bravi comici, bravi parolieri, dall’assurdo della lingua maltrattatta alla fine rimbalzano le cose, i comportamenti. Ma senza stare troppo a rompere i coglioni. Con invece quella libertà di toni di quando si poteva dire tutto, e che a ripensarci adesso, adesso che si vanno a ripescare gli scampoli messi da parte per il giorno dell’addio, stupisce davvero. Come il folle Testimone di Bagnacavallo che gridava il suo “credete voi che io, e-non vi veda?” e poteva permettersi di sfottere le “sporche messaggiatrici” coi “tacchi a  squillo”, senza temere che un giorno sarebbe apparsa la Boldrini. Ma soprattutto, con la normalità delle parole che è la normalità dell cose – che oggi tocca chiamarla “scorrettezza”, vocabolo cretino quanto sua madre correttezza –, di quando il suo telepredicatore da Drive in gridava “vaderetro culattacchione!”. O gemeva sul figlio di Amanda Lear “poverino, non sa se è sua mamma o suo papà”. Così fa piangere ora quanto lui faceva ridere allora, fa piangere tanto quanto lui invece sapeva far ridere, vedere il coro dei giornali che si commuovono per i papà gay e passano al setaccio come sbirri qualsiasi libertà di pensiero o linguaggio, vederli elogiare in morte l’artista, il poliedrico, lo scrittore. Come se nulla fosse. Come se il funambolo di ieri oggi non lo avrebbero odiato. Fatto tacere.

 

[**Video_box_2**]Viva quindi quanto c’era di intelligenza  in Vito Catozzo, e per quel che già c’era nascosto della canzone futura dedicata ai poliziotti. Ma sarà un caso se il “porch’il mond che c’ho sott’i piedi, se mi nasce un figlio finocchio!”, con altre gag di pari levatura, non lo si trovi su YouTube. Cabarettista già scafato, quando arrivò a Mediaset. Aveva iniziato al Derby. Con Boldi, Teocoli e Armando Celso ad Antenna3 reggeva ore di diretta del cabaret più demenziale della storia della tv italiana, l’archetipo della tv berlusconiana. Ma è soprattutto la libertà di tono dei suoi personaggi del Drive In, nello show più libertario e liberatorio della storia della televisione italiana, con un tasso di anarchia e critica sociale che oggi, nei nuovi anni bui, ce lo sogniamo. Cinque formidabili anni, ’83-’89, che diedero la misura di cosa fosse la ventata nuova della tv commerciale, quella demonizzata poi per i trent’anni successivi del moralismo e delle rendite Rai nascoste dietro. C’era del demenziale, si diceva allora, ma anche una insolita intelligenza di lettura, come le figlie di Vito Catozzo che si chiamano “Crocefissa, Derelitta jr, Addolorata, Immacolata… Selvaggia e Deborah”, con un precipizio onomastico che è una sintesi antropologica perfetta. Con le Ragazze Fast Food che oggi le manderebbero sotto processo.

 

Faletti ci transitò in fretta, insoddisfatto e impetuoso come l’“Anatrema su di voi!” del suo Testimone di Bagnacavallo, travolto da un altro talento e un’altra urgenza, da un suo astigiano furore pronto a debordare. Una vena di paroliere non da dozzina, per Mina, Milva, Branduardi. E un’urgenza di scrittore che venne fuori con un romanzo. Non sappiamo se passerà alla storia universale del thriller. Senz’altro ha salvato per intere stagioni il bilancio di Baldini & Castoldi. Nel nostro piccolo, di lui che “ha sempre sostituito la paura di non farcela con la speranza di farcela di nuovo” assicuriamo che passerà almeno alla storia della letteratura cattolica per una frase precipitata in “Io Uccido”, una di quelle spie di se stessi che scappano solo agli scrittori veri: “Si alzò dal letto con la malavoglia di Lazzaro dopo la resurrezione”. E adesso, chissà.

  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"