Matteo Renzi parla al Parlamento europeo (foto LaPresse)

Metodo e sculacciate

L'Odissea di Renzi tra nomine, scontri, Europa e rischi sulla flessibilità

Claudio Cerasa

Il discorso (così così) del Rottamatore a Strasburgo, la battaglia con il Ppe  e le concessioni possibili di Merkel

Visto da Strasburgo il discorso con cui Matteo Renzi ha inaugurato la presidenza del semestre europeo è stato un discorso che ha colpito soprattutto i giornalisti e i politici del nord Europa (in particolare quelli anglosassoni) per via del suo stile informale, diretto, poco istituzionale e finalizzato a individuare più i punti cardinali del proprio orizzonte culturale che i singoli punti del proprio progetto politico. Visto dall’Italia, invece, il discorso di Renzi presenta le stesse caratteristiche, gli stessi pregi e gli stessi difetti, del discorso pronunciato il 24 febbraio al Senato dal neo presidente del Consiglio: discorso indirizzato più ai telespettatori che ai parlamentari e modulato con lo stile del politico che si rivolge all’Aula con la stessa leggerezza con cui un sindaco si rivolgerebbe al suo Consiglio comunale. Il cuore dello speech del sindaco d’Italia è stato il passaggio in cui Renzi ha provato a spiegare che (a) oggi esiste una nuova generazione pronta a conquistare l’eredità dell’Europa e che (b) l’Italia ha intenzione di rispettare le regole ma chiede che la parola flessibilità non sia più una generica e insostenibile “retorica vuota” (un “lip service”, come ripete da mesi il ministro Padoan).

 

L’immagine utilizzata da Renzi è quella della generazione Telemaco (immagine suggestiva ma pericolosa, considerando che Telemaco ebbe bisogno di suo padre Ulisse per non essere rottamato dai Proci e che, così dice un mito, alla fine venne fatto fuori dalle sirene). Ma a giudicare dalle reazioni generate dal discorso di ieri l’immagine migliore per inquadrare il percorso che spetta in Europa al presidente del Consiglio la si ritrova più nel viaggio di Ulisse, nell’Odissea, che nella singola storia di Telemaco. Fuori dalla metafora, il dato politico più significativo che emerge dalla giornata lo si trova non tanto nel discorso di Renzi quanto nel dialogo a distanza maturato ieri tra il presidente del Consiglio e Manfred Weber, politico tedesco, capogruppo del Ppe, e destinato a essere il kapò del Rottamatore, ovvero l’equivalente di quello che è stato per anni, per Silvio Berlusconi, l’ex capogruppo del Pse Martin Schulz (che Berlusconi, appunto, avrebbe visto bene, come ricorderete, nel ruolo di kapò). Vediamo in che senso.

 

[**Video_box_2**]Subito dopo l’intervento del presidente del Consiglio, Weber ha preso parola e sculacciando Renzi ha detto che il ragionamento del premier non ha senso, non regge, non funziona, perché “nuovi debiti non creano futuro ma lo distruggono”, “la flessibilità di bilancio è la strada sbagliata”, “le regole ci sono e vanno rispettate”. Weber non è un Corradino Mineo. E’ il capogruppo del Ppe, è un vecchio militante della Cdu, partito di Angela Merkel, è la voce della cancelliera al Parlamento europeo: e non può sorprendere che le sue parole siano state lette come un segnale esplicito rispetto al fatto che la partita sulla flessibilità sia ancora molto complicata. L’impressione registrata ieri è che Renzi sia consapevole che la flessibilità non potrà essere certificata in nessun trattato e in nessun documento ufficiale ma dovrà essere frutto di piccoli, estenuanti, insistenti negoziati politici. Da questo punto di vista non è un caso che nel suo discorso Renzi (che ha poi risposto a Weber, ricordando al collega che “l’Italia non accetta lezioni da nessuno”) abbia scelto di puntare più sulla retorica che sul contenuto. Molte parole, molte idee, molte metafore, pochi programmi, poche proposte, nessuna richiesta particolare in termini di politica economica. E sotto un certo aspetto è come se Renzi avesse capito che l’unico modo per applicare la flessibilità è portare avanti un nuovo metodo, nulla di più. Il cambio di verso – difficile, rischioso – sembra essere questo: se fino a ieri era la Commissione a dettare l’agenda ai capi di stato, a partire da questa legislatura dovranno essere i governi (e il Consiglio europeo) a indirizzare in modo incisivo i lavori della Commissione. Sarà così che si potranno ottenere degli sconti sugli unici due punti sui quali la Germania sembra essere disponibile a fare concessioni (l’eliminazione del cofinanziamento dei fondi strutturali europei dal meccanismo del Patto di stabilità, che corrispondono a circa 43 miliardi di euro da qui al 2020; e lo scorporo degli investimenti produttivi dal calcolo del deficit). Ed è per questo che la nomina che potrebbe pesare di più nella geometria renziana non è tanto quella di Federica Mogherini quanto quella di Roberto Gualtieri alla presidenza della Commissione economica del Parlamento europeo. E’ lui che sta elaborando le proposte da sottoporre alla Commissione. Le idee e le bozze ci sono, sono pronte, ma sulla flessibilità, almeno questa è l’impressione registrata ieri a Strasburgo, è difficile che Renzi riesca a ottenere qualcosa di clamoroso. Sarà un’Odissea, appunto. Sperando ovviamente che il progetto di Renzi non faccia la fine di Telemaco lì in mezzo alle sirene.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.