Macché doping di squadra, il processo Lampre è un buco nell'acqua

Giovanni Battistuzzi

Il doping è indispensabile ai ciclisti come l’ossigeno per gli esseri umani. Questo è quello che in molti pensano e proprio perché è giudizio comune, il giudizio che si dà a ogni caso di presunto doping è di colpevolezza, a prescindere. Attendere la sentenza è inutile.

Il doping è indispensabile ai ciclisti come l’ossigeno per gli esseri umani. Questo è quello che in molti pensano e proprio perché è giudizio comune, il giudizio che si dà a ogni caso di presunto doping è di colpevolezza, a prescindere. Attendere la sentenza è inutile, la storia ha insegnato che nulla cambia nel processo e quelle che sono le accuse diventano sentenze. A volte accade però che gli accusatori, sicuri di aver scoperto il marcio che sta alle spalle del mondo ciclistico sbaglino, prendano una manciata di mosche e le scambino per oro. E’ successo per il processo Lampre, quello che doveva dimostrare l’esistenza, anche in Italia, del doping di squadra. Un niente di fatto, un castello accusatorio soffiato via dal vento dell’evidenza come uno fatto di carte. La perizia della professoressa Donata Faretto sul materiale sequestrato è chiara, incontestabile: “Non sono state riscontrate sostanze dopanti”, nemmeno nelle fiale che avrebbero dovuto contenere testosterone, "fiale anonime contenenti soluzione acquosa. Nessun principio attivo, soluzione acquosa, ph 7". Poi precisa "il testosterone si presenta come soluzione oleosa, non acquosa", infine certifica che al contrario di quanto detto a stampa e televisioni le medicine sequestrate "non contengono sostanze vietate ai fini di doping, non contengono steroidi androgeni anabolizzanti".

 

Cinque anni dopo dunque la verità: il processo-Lampre, ha fatto un buco nell’acqua. Eppure erano tutti convinti, colpevoli a prescindere; era il processo che doveva smontare definitivamente un sistema, quello che vedeva tra gli imputati gente importante: Beppe Saronni, campione degli anni 70/80, ora direttore sportivo, Alessandro Ballan, campione del Mondo nel 2008, Damiano Cunego, vincitore di classiche e di un Giro d’Italia, e poi altri ciclisti, gregari, possibili stelle, gente da fughe.

 

[**Video_box_2**]Tutto iniziò nel gennaio 2008: fonti della polizia parlano di una farmacia che spaccia sostanze dopanti agli atleti, cicloamatori da granfondo, dilettanti, professionisti, qualcuno anche di primo piano. Gli inquirenti della Procura di Mantova intercettano, monitorano la clientela, osservano tutto e tutti. Poi sequestrano. Epo, gonadotropina, anabolizzanti, ormone della crescita a Roberto Messina, un cicloamatore del mantovano. Sacche di fiale, farmaci e scatolame nella macchina di Guido Nigrelli farmacista di Mariana Mantovana. Subito viene accusata la cricca veneta della Lampre, squadra italiana World Tour, la serie A del ciclismo mondiale. Passano gli anni, la stampa rincorre continui scoop, vengono tirati in mezzo ciclisti più o meno famosi, si pubblicano intercettazioni che hanno poco da dire, se non che c’erano dei ciclisti che si rivolgevano a dei medici o degli affaristi che parlavano di avere conoscenze ciclistiche importanti. Certo c’erano telefonate strane, sibilline, qualcuna pure abbastanza esplicita. Poi c’erano le prove sequestrate, grandi quantità di sostanze dopanti, cose che scottavano.

 

Non è rimasto niente se non i farmaci sequestrati a Roberto Messina, quelli sì doping, anche per la perizia. Le prove sono evaporate come acqua caduta da una borraccia sull’asfalto estivo. Quello che rimane sono atleti e dirigenti ingiustamente accusati, messi sulla graticola, derisi e schifati per qualcosa di non provato, anzi, che non si è potuto provare perché inesistente. C’è chi è stato squalificato, come Alessandro Ballan, chi non corre più perché in un clima da caccia all’uomo nessuno mette sotto contratto un corridore chiacchierato se non ti chiami Lance Armstrong. C’è chi ha vissuto in un limbo, frastornato, e che, forse anche per questo, non è riuscito a dare tutto sulla bicicletta, c’è chi poi è stato beccato davvero, ma in altre circostanze, c’è chi ha continuato, fregandosene, ma che ha dovuto faticare il doppio per ritornare ad essere credibile. Ora tutto verrà prescritto in meno di due anni. Resta il facile costume di colpire questo sport comunque e in ogni caso, la facilità con cui accusando si risulta subito credibili. Il resto non conta, tanto varrebbe legalizzarlo, il doping, visto che reale o no, per tutti le sentenze sono già scritte. Per fortuna, a volte, la verità supera allo sprint i giudici a priori.