In Cina Xi butta giù la “tigre” più forte. Avanti la prossima

Redazione

La lotta contro la corruzione del presidente cinese Xi Jinping, che ha portato all’incriminazione di decine di migliaia di funzionari nel Partito comunista, nelle grandi aziende di stato e nell’esercito, è una questione di equilibri.

La lotta contro la corruzione del presidente cinese Xi Jinping, che ha portato all’incriminazione di decine di migliaia di funzionari nel Partito comunista, nelle grandi aziende di stato e nell’esercito, è una questione di equilibri. La Cina, scriveva lunedì Jamil Anderlini sul Financial Times, è un paese con una popolazione di 1,36 miliardi di persone dominato da appena 2.500 uomini, e Xi sa che per realizzare il suo obiettivo di potenza deve ottenere la loro fedeltà, o colpirli così duramente da suscitare il loro terrore. Xi punta a diventare il presidente più potente della storia recente della Cina, il più potente dopo Deng Xiaoping, il più potente dopo Mao, e la lotta contro la corruzione è la sua arma per suscitare fedeltà e terrore. Ma il potere di Xi dipende in gran parte dai 2.500 uomini che vorrebbe sottomettere, e bisogna avere circospezione per evitare che una mossa azzardata faccia crollare tutto. Così, quando lunedì Xi in persona ha presieduto la riunione del Politburo che ha certificato la caduta del generale Xu Caihou, che tra i 2.500 uomini che governano la Cina era uno tra i più potenti, molti hanno pensato che il presidente si stesse preparando alla vera guerra per il potere.

 

Lunedì il Politburo ha decretato l’espulsione di Xu Caihou dal Partito, e contemporaneamente l’agenzia di stampa Xinhua ha annunciato la sua incriminazione per corruzione. Il comunicato di Xinhua, come tutti i documenti del Partito, sceglie le parole con cura estrema, e quelle scelte per Xu sono durissime. Nei documenti che annunciano la detenzione o l’incriminazione di un membro del Partito di solito le accuse sono sfumate, e molto spazio è dedicato alle formule di rammarico e di condanna morale. Per Xu, Xinhua è stata esplicita e tagliente: “Xu Caihou si è approfittato del suo incarico, ha favorito la promozione di alcune persone e ha accettato mazzette direttamente o attraverso la sua famiglia, ha usato la sua posizione per influenzare gli altri per profitto e i membri della sua famiglia hanno accettato beni di valore”. Il caso di Xu è definito “grave”. Lo stesso aggettivo fu usato due anni fa nel caso di Bo Xilai (allora era “estremamente grave”), un altro membro del Politburo coinvolto in uno scandalo di corruzione e omicidi, che l’anno scorso è stato condannato alla pena di morte, commutata in ergastolo.

 

Xu Caihou è il più potente ufficiale dell’esercito finito sotto inchiesta in quasi trent’anni. Oltre che un membro del Politburo, il comitato di 25 funzionari che decide le sorti della Cina, Xu era anche il secondo in comando della Commissione militare centrale, l’organo che controlla le Forze armate (la Commissione oggi è presieduta da Xi) e aveva il controllo diretto sulle nomine dentro all’esercito. Xu, 70 anni e, si dice, malato di cancro, aveva abbandonato queste cariche l’anno scorso, quando il Politburo era stato rinnovato. Ha fatto la sua ultima apparizione pubblica in gennaio, quando già si rincorrevano le voci su un’inchiesta contro di lui. Da allora è rimasto in stato di arresto domiciliare virtuale, fino a che lunedì il Partito ha formalizzato le sue accuse. Xu è la più importante delle “tigri” (gli alti funzionari corrotti che Xi aveva promesso di colpire all’inizio del suo mandato) cadute finora nella la lotta contro la corruzione. La sua incriminazione è un pezzo importante del progetto di rinnovamento nelle Forze armate promosso da Xi Jinping (Xu controllava le nomine, e la sua caduta sarà seguita da quella dei molti fedeli di cui si era circondato. Lo aveva preceduto Gu Junshan, l’alto ufficiale trovato a marzo con in casa una statua di Mao in oro massiccio), ed è segno che Xi non ha paura che un arresto tanto importante possa avere ripercussioni sulla fedeltà dell’esercito. Xi lavora da mesi per rinnovare l’esercito cinese, che è il più grande del mondo ma non combatte da decenni, e rischia di non essere in grado di sostenere la strategia aggressiva del presidente nel Mar cinese. Soprattutto, l’arresto è segno che Xi è pronto a portare la sua lotta per il potere a un livello più pericoloso: Xu Caihou era uno degli alleati di uno dei grandi padrini del Partito comunista, l’ex presidente Jiang Zemin.

 

Jiang è a capo di una delle grandi correnti che si contendono il potere e la fedeltà degli alti funzionari dentro al Partito comunista cinese. Oltre a quella che fa capo a Jiang, c’è la fazione di un altro ex presidente, Hu Jintao, e quella dei princelings, i figli dei grandi del Partito dei tempi di Mao come Xi Jinping (la definizione è convenzionale, i princelings sono sparsi un po’ per tutto il Partito). A marzo i media internazionali avevano notato che sia Jiang sia Hu stavano lanciando segnali minacciosi a Xi: la tua lotta contro la corruzione sta andando troppo oltre, dicevano, stai calpestando terreni che non dovresti toccare, fermati prima di farci arrabbiare. In tutta risposta, il 15 marzo Xi ha avviato l’incriminazione formale contro il generale Xu, l’alleato di Jiang. Poco tempo dopo, a giugno, Xi ha colpito la fazione di Hu con l’arresto per corruzione di Ling Zhengce, il fratello maggiore dell’ex braccio destro di Hu, Ling Jihua. (Ling Jihua è debole da tempo, da quando suo figlio è morto andando a schiantarsi con la sua Ferrari insieme a due ragazze nude. Non esattamente il comportamento modello di un rampollo dell’austera classe dirigente cinese). L’arresto di Xu è importante per questo: se Xi Jinping ha la forza di attaccare insieme sia la fazione di Jiang Zemin sia quella di Hu Jintao, significa che il potere in Cina sta passando di mano molto velocemente.
Lunedì insieme al generale Xu il Politburo ha espulso dal partito altri tre funzionari di alto rango, Jiang Jiemin, Li Dongsheng e Wang Yongchun. Tutti e tre hanno legami con Zhou Yongkang, l’ex zar dei servizi di sicurezza che da mesi è ad arresti domiciliari “virtuali”, senza incriminazioni ufficiali. Prima della sua caduta in disgrazia Zhou era uno degli uomini più potenti di Cina, e da mesi i suoi fedeli sono incriminati uno dopo l’altro nella lotta contro la corruzione. Sarà la prossima tigre a cadere sotto il regno di Xi Jinping.

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