Avi e Rachel Fraenkel, genitori di uno dei tre ragazzi israelinai uccisi, davanti alla bara di loro figlio (Foto Ap)

Il prezzo dell'umanità di Israele

Giulio Meotti

Check-point rimossi, terroristi liberati, muro sospeso. I tre studenti uccisi e il dilemma dello stato ebraico.

Roma. I servizi israeliani temono che i due terroristi palestinesi che hanno ucciso Gilad Shaer, Naftali Frenkel e Eyal Yifrach siano già a Gaza. Dopo aver abbandonato i cadaveri dei tre in un campo a Hebron, i terroristi avrebbero preso la via del sud. Per dodici anni quella strada era stata interrotta dal checkpoint di Harayiq. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu lo aveva rimosso un anno fa, per facilitare il movimento dei palestinesi che vivono nei villaggi di Dura, Sammou’, Thahiriyeh e Yatta. Ma così facendo, Israele ha facilitato la fuga dei terroristi.

 

E’ il tragico dilemma dello stato ebraico. I gesti di “buona volontà” verso gli arabi incrementano il terrorismo. Netanyahu si è vantato di essere “il primo ministro che ha rimosso quattrocento checkpoint”. Si ritiene che anche la sospensione, un anno fa, della costruzione del “muro” nella zona del sequestro nel Gush Etzion abbia favorito l’attacco. Se ci fosse stata la barriera, mai realizzata per le proteste umanitarie e palestinesi, gli attentatori non avrebbero potuto entrare e uscire così facilmente dal territorio israeliano. Israele ha migliorato le condizioni ai checkpoint e ne ha rimossi tanti, ma i terroristi ne hanno deliberatamente approfittato. Quando rimangono bloccati ai posti di blocco, i terroristi usano i cellulari. Così i servizi israeliani riescono a individuare la cellula. Senza i checkpoint, l’intelligence verrebbe a conoscenza di un attacco mentre è già in corso. Come durante la Seconda Intifada. Nel gennaio del 2010 anche l’uccisione dell’israeliano Meir Chai avvenne subito dopo la rimozione di un checkpoint come “confidence-building measure”.

 

L’assassinio dei tre studenti israeliani getta luce su un altro doloroso paradosso: il rilascio di terroristi. Israele ha appena arrestato di nuovo un quinto dei palestinesi liberati nel 2011 in cambio di Gilad Shalit e rientrati nelle loro case in Cisgiordania. Un mese fa, la notte di Seder, la Pasqua ebraica, terroristi uccisero l’israeliano Baruch Mizrahi, sempre a Hebron. Nei giorni scorsi Israele ha arrestato il suo assassino, Ziad Awad, rilasciato in cambio del caporale Shalit. Come ha spiegato l’editorialista Ben-Dror Yemini sul giornale Yedioth Ahronoth, 123 israeliani sono stati uccisi da terroristi rilasciati in scambi precedenti. Non coltivavano sogni di pace, ma di assassinio di ebrei. Tragica è questa perpetua scelta di Israele, perché promette a chiunque voglia intraprendere rapimenti di israeliani che essi saranno fruttuosi, che coaguleranno la umma islamica e che si può uccidere il rapito perché comunque si ottiene in cambio ciò che si desidera. 55 terroristi scarcerati in cambio di Shalit sono tornati in carcere, accusati di aver fornito assistenza all’uccisione di Shaer, Frenkel e Yifrach. Così, il premier Netanyahu, che nel 1997 in un libro aveva giurato che non avrebbe mai liberato terroristi, passerà alla storia come quello che ne ha scarcerati di più.

 

Dal 2005, Israele è andato ritirandosi da zone strategiche per la sicurezza in nome del “disimpegno”. La sicurezza è stata appaltata all’Autorità nazionale palestinese e gli assassini degli studenti sono partiti da un’area sotto controllo palestinese per tornare in un’area sotto controllo palestinese. E l’esercito israeliano deve adesso condurre pericolosi e infruttuosi raid notturni. Dal 1999, l’intelligence israeliana non può più usare gli “interrogatori duri”, banditi dalla Corte suprema ma necessari per ottenere informazioni e salvare vite umane. A Israele l’interrogatorio non serve per incriminare un terrorista, ma per distruggere la cellula. Gli interrogatori dello Shin Bet funzionavano a tal punto che si dice che persino l’ex capo militare di Hamas, il feroce Saleh Shehada (in seguito ucciso da un missile), alla fine collaborasse mansueto durante gli interrogatori. Ecco il dramma dello stato ebraico: la grandezza d’Israele, la sua moralità, legalità e umanità, è un letto caldo per terroristi seriali e assassini di bambini e studenti.

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.