Julio César portiere del Brasile ai Mondiali (foto LaPresse)

La propensione alle lacrime di Júlio César e quelle due date precise cerchiate sul suo calendario

Pierluigi Pardo

La domenica del “golero” sensibile e geniale, del portiere che non si arrende mai, è stata relax e foto sotto casa e a passeggio con i figli, Bernardo e Guilherme, davanti all’orizzonte scenico e infinito di Barra de Tijuca, periferia di lusso di Rio de Janeiro. Ritratto del portiere che ha salvato il Brasile

La domenica del “golero” sensibile e geniale, del portiere che non si arrende mai, è stata relax e foto sotto casa e a passeggio con i figli, Bernardo e Guilherme, davanti all’orizzonte scenico e infinito di Barra de Tijuca, periferia di lusso di Rio de Janeiro.
L’uomo che ha salvato il Brasile dall’incubo di un Maracanazo bis, sessantaquattro anni dopo Ghiggia, si è concesso qualche ora di riposo e un salto in spiaggia, senza perdere, ovvio, la sua solita triste allegria.

 

Perché chi lo conosce bene, lo sa. Júlio César Soares Espíndola, classe 1979, maglia numero 12 del Brasile di Scolari a caccia del sesto titolo mondiale, è un uomo sospeso da sempre tra lampi di gioia improvvisa e lacrime irrefrenabili.                                                      

 

Nella testa adesso però, solo fierezza e rivincita. La felicità di chi ha salvato duecento milioni di brasiliani da una possibile, cosmica depressione, spostando l’orizzonte temporale più avanti, almeno fino a venerdì prossimo, alla sfida contro la Colombia, che mette comunque paura con quel bravo ragazzo indemoniato di James Rodríguez.

 

La moglie, l’incantevole Susana Werner, ex fidanzata di Ronaldo (il Fenomeno), da tredici anni compagna di Júlio, ha twittato molto e con gioia: “Per me la Coppa potrebbe anche finire qui”, ha detto poco dopo il fischio finale, e domenica si è quasi giustificata, sempre via Twitter, per il fatto di non concedere interviste in questo momento. “So che mi capirete, voglio stare a casa e festeggiare con lui”.

 

Lui ha 35 anni, un talento raro da sempre, anche con i piedi (nelle partitelle si diverte a giocare in mezzo al campo e se la cava alla grande), la frequente propensione alle lacrime di cui sopra e due date, precise, cerchiate sul calendario.
La prima è un giorno arancione e nerissimo, tutto da cancellare. Brasile-Olanda, 2 luglio 2010, Port Elizabeth, estremo sud dell’Africa. L’incomprensione con Felipe Melo costa il pareggio e gira il vento di una partita fin lì dominata dalla squadra di Dunga. Gira anche la sua carriera, la sua reputazione in patria.

 

La seconda data deve ancora venire, porta dritta al Maracanà, al 13 luglio, alla finale. E’ un’ossessione nella testa di ogni brasiliano (anche i contestatori della Coppa sembrano essersi pacificamente messi sul divano a tifare, col telecomando in mano), e ovviamente anche per lui.

 

[**Video_box_2**]Júlio ha pianto nelle interviste post gara e, addirittura prima di parare i rigori (immagine non proprio rassicurante). Tutto normale invece, perché nel kit tecnico e psicologico del ragazzo di Rio De Janeiro, c’è questa clamorosa sensibilità, il lato sentimentale della vita che irrompe nel bene e nel male, ed emoziona. Come quella volta, agosto 2012, sotto la Curva nord, nell’ultimo saluto ai tifosi dell’Inter, squadra con la quale aveva portato a casa quattordici trofei, triplete compreso, prima di essere scaricato per banali questioni contrattuali.

 

Eccezionale nella Confederations Cup dell’anno scorso, ha vissuto un’estate in bilico tra mille soluzioni di mercato, prima di rimanere come la Sora Camilla, a Londra, al QPR, per di più da separato in casa. Praticamente fuori rosa, con gli allenamenti da solo al parco e i guanti comprati al negozio sotto casa, per non perdere la forma.

 

Ora la stampa brasiliana lo celebra. Thiago Silva racconta della promessa di qualche istante prima dei rigori. “Ne paro tre”, gli avrebbe detto. Qualcuno, sommessamente, si dice preoccupato. Se il migliore della Seleçao è il portiere ci sarà un perché.
Ma intanto, a Teresopolis, al campo d’allenamento, tra tifosi festanti e reporter su di giri, c’è aria di festa. La manovra piatta, lenta e prevedibile della squadra sembra solo un dettaglio, un problema risolvibile. Capace semmai di rendere più splendente il finale, in quel 13 luglio in cui, forse, il futebol tornerà a casa.

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