X-Men, parabola delle minoranze, da perseguitate ad aggressive

Stefano Priarone

La trasformazione degli eroi Marvel, sempre meno amici dei “semplici” umani. Intanto la Fox prova a confermare il regista Bryan Singer dopo le accuse (sgonfiatesi) di aver partecipato negli anni '90 a dei festini dove dei minorenni venivano costretti ad avere prestazioni sessuali sotto minacce.

Sono (non lo decliniamo) homo sapiens superior, il gradino successivo dell’evoluzione della razza umana. Comunemente, sono detti mutanti, odiati e temuti dai sapiens sapiens (i comuni umani) perché temono che faranno loro quello che l’uomo di Cro-Magnon ha fatto all’uomo di Neanderthal: li massacreranno. Questa, in sintesi la trama di base di cinque decenni di storie degli X-Men, gli eroi mutanti della Marvel Comics di Spider-Man, Capitan America e Thor, ritornati sul grande schermo con “X-Men: Giorni di un futuro passato”, quinto (settimo se consideriamo i due spin-off dedicati a Wolverine, il più carismatico personaggio della serie interpretato da Hugh Jackman) film loro dedicato, diretto nuovamente da Bryan Singer come i primi due e che proprio in questi giorni Emma Watts, presidente della Fox, ha dichiarato di voler rivedere alla regia dopo le accuse mosse a suo carico, e ad altre celebrità di Hollywood, di aver partecipato negli anni '90 a dei festini dove dei minorenni venivano costretti ad avere prestazioni sessuali sotto minacce, ma che sembrano essersi placate e ridimensionate.

 

La saga X-Men rappresenta per la Marvel il primo successo cinematografico dopo i vari Superman e Batman della rivale DC Comics. Il primo capitolo è uscito nel 2000, i mutanti, metafora di chi si sente “diverso”, non importa se appartenga a una minoranza oppure no, incontrano perfettamente lo spirito del tempo. Non ricevono i loro superpoteri per un incidente casuale (come essere morsi da un ragno radioattivo per Spider-Man), ma nascono così, con facoltà che sviluppano nel corso dell’adolescenza.

 

Quando esce la serie, creata nel 1963 dai soli Stan Lee e Jack Kirby artefici di buona parte dei personaggi Marvel (da Hulk a Thor ai Fantastici Quattro) non incontra le preferenze dei lettori. Gli X-Men sono cinque adolescenti guidati dal professor Xavier, dai grandi poteri telepatici, che combattono  mutanti malvagi il cui leader è Magneto, ex amico di Xavier e signore del magnetismo, che vuole soggiogare l’umanità.

 

Il successo arriva solo negli anni Settanta, per merito dello sceneggiatore Chris Claremont che rende “Uncanny X-Men” (serie che scrive ininterrottamente dal 1975 al 1991) l’albo più venduto negli States. “X-Men: Giorni di un futuro passato” dove Wolverine torna nel passato (gli anni Settanta) per evitare un futuro distopico dove robot assassini, le Sentinelle, nate per combattere i mutanti, hanno schiavizzato anche gli umani, è appunto liberamente tratto all’omonima saga del 1981, di Claremont e John Byrne, che aveva già probabilmente ispirato il primo Terminator (1984) di James Cameron (anche lì abbiamo futuri minacciosi dove comandano le macchine e viaggi nel tempo).

 

Grazie a Cleremont, i mutanti diventano una sempre più chiara metafora delle minoranze, di qualunque genere siano: Magneto nelle sue storie, appare come una sorta di Malcom X mutante mentre il Professor Xavier sarebbe Martin Luther King, il secondo a favore dell’integrazione fra umani e mutanti, il primo orgoglioso di essere un mutante e sprezzante nei confronti dei semplici “sapiens”.

 

[**Video_box_2**]“Non mi ha mai interessato vederlo come un banale supercriminale, volevo conoscerlo come persona, come uomo, scoprire i conflitti che lo laceravano” ci dice Claremont, che dal 2000 è tornato a scrivere storie dei mutanti, ma con mano meno felice. “Per me, è quello che ogni scrittore dovrebbe fare con un personaggio, altrimenti dov’è il divertimento? “

 

La serie diventa sempre più uno specchio del mutato potere delle minoranze, sempre meno disposte all’assimilazione o almeno all’integrazione e sempre più fiere della propria diversità.

 

Cambia pure il linguaggio: se  ad esempio l’italico “negro” in origine termine neutro in italiano per influenza del negativo americano “nigger” (o “the N-Word” come scrivono i bianchi liberal, che non hanno neppure il coraggio di riportare la parola per intero e la lasciano pronunciare solo a rapper afroamericani) da anni viene considerato razzista e sostituito con “nero” o “di colore” (questo per noi, davvero razzista) qualcosa di simile avviene con “mutante”.

 

Negli anni Novanta, quando si poteva ancora ironizzare sul politicamente corretto, lo scrittore Peter David su “X-Factor” (che prima di diventare un talent show è una serie spin-off degli X-Men tuttora pubblicata) fa chiamare i mutanti PAG, Portatori di Anomalia Genica (in originale Genetically Challenged) , visto che secondo alcuni di loro il termine “mutante” sarebbe offensivo.
Il sogno di Xavier di un mondo dove mutanti e umani possano vivere in pace e armonia fra loro diventa sempre meno condiviso. Intanto, è cambiato il mondo attorno a loro: gli X-Men agli occhi dei ragazzi sono fighi, sono delle rockstar e tanti umani cercano di ottenere i loro poteri.

 

A sua volta Ciclope (così chiamato perché emette raggi ottici dagli occhi), da fedele cagnolino di Xavier, cocco del Professore, da nuovo leader mutante porta gli X-Men a vivere in un isolotto nel Pacifico, al largo di San Francisco (da sempre città delle minoranze, gay in primis), lontani dagli “umani” che ormai detesta. Lo scontro fra Avengers (in italiano Vendicatori) e X-Men pubblicato l’anno scorso su varie collane non è stato solo un modo per aumentare le vendite della Marvel spingendo i lettori a comprare più fumetti possibili, ma rispecchia anche il conflitto fra integrazione e orgogliosa diversità: Ciclope alla fine viene sconfitto e si dà alla macchia con alcuni seguaci, mentre altri mutanti rientrano nei ranghi, fanno lo “zio Tom”, secondo gli homo superior ribelli. Ormai parla come Magneto: considera la “sua gente” solo i mutanti, il sogno di Xavier sembra ormai solo un sogno.

 

La metafora X-Men-diversi ha fatto scuola, e ha attecchito soprattutto nelle serie televisive. Cosa sono i vampiri di True Blood, potenti e fighi, adorati anche dagli umani che vogliono diventare come loro se non simil mutanti, ormai lontanissimi dal cliché di Dracula?

 

In maniera quasi inconscia le storie degli  X-Men hanno rispecchiato l’evoluzione della coscienza delle minoranze negli States, dal mito del melting pot che spingeva all’assimilazione a quello del multiculturalismo, con minoranze, a tratti,  aggressive e  intolleranti. E chi, anche con validi argomenti, le contesta diventa automaticamente razzista, islamofobo, mutantofobo.