Le nozze gay di Fausto Schermi ed Elwin van Dijk celebrate a Fano (foto LaPresse)

Sì alle nozze gay, ma dateci le scuole

Redazione

“Sono pronto a firmare un patto”. Se la regola è “tutti i diritti per tutti”, valga anche per la libertà di educare. Basta guerre perse, si competa sulla vita migliore. La sfida allo stato di Amicone, cattolico in epoca bergogliana.

“Sono pronto a firmare un decreto che contemporaneamente autorizzi i matrimoni gay, le unioni civili, le adozioni marziane e tutti i diritti civili del cuore e della pensione che volete. Ma che – contemporaneamente – riconosca e attui, e per davvero, la perfetta libertà di educazione: la parità di condizioni ideali e materiali. E, contestualmente, introduca nella nostra famosa bella Costituzione la parolina che manca: il primo emendamento di quella americana, la libertà di espressione. Prendetevi tutto il resto, le famiglie patchwork e multi-gender, ma lasciateci liberi, e liberi di educare”. Così dice, e non è un accesso di furore, ma provocazione di cultura e ragione, un cattolico a tutto tondo, ma non clericale, che da una vita combatte nell’arena pubblica, testimonianza di fede e impegno per la libertà di tutti. Insomma Luigi Amicone, ciellino d’antica data, direttore del settimanale Tempi. “Mandateci in giro nudi, ma lasciateci la libertà di educare, un giudizio che valeva quando lo formulò don Giussani negli anni Cinquanta, vale ancora di più oggi, quando con tutta evidenza l’unica possibilità di collaborare alla vita e al bene di tutti, secondo la libertà di tutti, è quella di poter offrire ai giovani, alla nostra eredità, un’ipotesi di vita. Di lavoro per la vita. Facciamo un patto nuovo, ma facciamolo su questo”.

 

Facciamo il punto, Amicone: i matrimoni gay sono alle porte, la porno-educazione à la Melania Mazzucco prima o poi diventerà obbligo nelle scuole, nel resto del mondo già si rischia di non poter più dire “io obietto per coscienza”. Non sembra proprio lo scenario in cui il massimo per un cattolico sia dire “fate un po’ quel che volete”. C’è stata pure una lunga stagione, forse tramontata per tanti motivi, in cui a questo spirito coercitivo del mondo nuovo sì è opposta resistenza. “Sì, quella che viviamo è la trasformazione dello stato che si pretende laico in una chiesa, quella sì una teocrazia. Dogma e intimidazione. Ma io non accetto questa coercizione”. Allora, è come dire battaglia persa, proviamo un’altra via? “Mettiamola così. Benedetto XVI ha tentato l’amicizia suprema col mondo, quella della ragione-discussione aperta per rompere una situazione da ‘palazzi di cemento senza finestre’. Ma non a caso il simbolo della sua sconfitta, dico sconfitta da un punto di vista mondano, è che gli abbiano impedito di parlare alla Sapienza. Gli hanno impedito di dire, con Habermas, che una democrazia non può reggersi solo su maggioranze aritmetiche e, aggiungo io, sull’evasione dalla realtà organizzata dall’intrattenimento turistico, televisivo, sessuale o umanitario globale. Oggi con l’imperatore Obama tutto è diventato costrizione: devo credere al paralogismo che il matrimonio tra persone dello stesso sesso sia come l’uguaglianza che supera l’apartheid. Per dirla con un’immagine che mi piace del mio amico Giancarlo Cesana, si alza ogni giorno di più il pavimento dei diritti e si abbassa il soffitto dei doveri”.
Appunto, allora? “Allora non è che bisogna ritirarsi in buon ordine in convento, stile ‘chi sono io per non zappettare nel chiostro?’, come pensa qualcuno che stia accadendo anche nella chiesa. Invece serve un nuovo patto, un nuovo tavolo. Se il limite è il cielo di tutti i diritti per tutti, allora tu, stato, rispetta anche il mio diritto. E poi sia competizione aperta. Per questo io dico: prendiamo atto che non c’è più possibilità di discussione, ciascuno è un’isola. Dunque basta impegnare energie per contrapporsi in modo inadeguato alla postmodernità. Diciamo liberi tutti, ma liberi pure noi. Per questo faccio l’esempio fondamentale: solcate pure il mare con i matrimoni gay, ma dateci la libertà di scuola dove uguaglianza e diversità possono ancora parlarsi. La trasmissione alle nuove generazioni di un’ipotesi di vita, di un gusto della bellezza dell’esistenza è oggi davvero il solo, fondamentale contributo al bene di tutti che possiamo dare. E allo stesso tempo, è il ‘diritto dei diritti’ il punto di libertà che voglio mi venga riconosciuto. Ripeto: sono pronto a firmare”.

 

E poi, come andrà? “Non è il finimondo. Ricordo che nelle democrazie già normalizzate da matrimoni gay e quant’altro – in America, Inghilterra, Francia, Germania – ovunque sono in crescita le scuole non statali, con un picco del 71 per cento in Olanda, la patria di tutto. Bene, l’Italia è l’unico paese in controtendenza, in cui dal 27 per cento di scuole non statali che avevamo nel 1950 siamo a meno della metà, il 12 per cento”. Questo cosa indica, in prospettiva? “Indica che non è solo questione di debito pubblico (abbiamo un esercito di statali). Del resto la legge c’è già, quella di Berlinguer del 2000, togliamola dalla carta e riempiamola di sostanza, e che ciascuno si organizzi in libertà scuole ed educazione. Vuoi fare la scuola gender, falla. Vuoi fare la scuola multiculty, falla. Fatta salva ovvio, la cornice generale. Prendi l’esempio del calcio: guarda la nostra Nazionale di vecchi-bambini e piagnisteo. E guarda quella dell’Olanda: non è che alla fine ci sono i Balcani. Giovanni Paolo II citava Norwid: “La bellezza è per entusiasmare al lavoro, il lavoro è per risorgere”. Ecco, piantiamola con la bruttezza, con la guerra di religione, con l’ideologia. Diamoci le condizioni politiche per fare in libertà la cosa più bella. Sarà la vita a dimostrare una bellezza oppure no. La storia dirà chi risorge e chi sarà morto per sempre.

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