Giustizia senza coraggio

Redazione

E’ bastato un corrugar di ciglia dell’Associazione nazionale magistrati e i propositi di riforma della giustizia – e in particolare dell’uso scandaloso delle intercettazioni vagamente enunciati dal governo – si sono sciolti come la neve al sole.

E’ bastato un corrugar di ciglia dell’Associazione nazionale magistrati e i propositi di riforma della giustizia – e in particolare dell’uso scandaloso delle intercettazioni vagamente enunciati dal governo – si sono sciolti come la neve al sole. Era previsto e prevedibile, ma lascia lo stesso l’amaro in bocca. In tutti i paesi dove esiste uno stato di diritto un giudice autorizza le intercettazioni solo in relazione a uno specifico reato del quale esistono indizi di colpevolezza. Le intercettazioni possono essere utilizzate solo nel dibattimento e solo per gli elementi che sono collegati al reato originario su cui si è aperta l’inchiesta. In Italia e solo in Italia, invece, si fanno intercettazioni “a strascico” che coinvolgono spesso anche gli interlocutori non indagati e i testi delle conversazioni finiscono sulle pagine dei giornali anche quando non hanno niente a che vedere con la materia dell’indagine. I magistrati sostengono che sia indispensabile un’estensione così illimitata delle intercettazioni per ottenere prove, ma se si rispettasse la Costituzione dovrebbero avere a disposizione indizi assai gravi solo per poter chiedere l’autorizzazione a intercettare. Ma, naturalmente, se il giudice sa che la sua carriera dipende dalla volontà delle correnti della magistratura, dominate dalle procure, in assenza di una separazione delle carriere, difficilmente nega autorizzazioni anche quando i presupposti giuridici sono fragilissimi. Perché i magistrati sono interessati anche a informazioni che non attengono alle inchieste ma che sono invece interessantissime per la stampa, che le riceve invariabilmente per quanto illecitamente? Perché in questo modo si determina un circuito mediatico-giudiziario che ha assunto e mantiene in modo inossidabile una impropria funzione politica. Se un leader politico sa che un magistrato possiede un’intercettazione imbarazzante, se un banchiere teme che colloqui riservati sulle scelte di finanziamento di progetti industriali riservati possono essere rivelate, il loro atteggiamento nei confronti della magistratura sarà necessariamente subalterno. Se un grande giornale sa che la frequentazione amicale delle procure è fonte continua di notizie magari scandalistiche e che quel flusso cesserebbe se si adottasse una linea generale favorevole al garantismo, ne trarrà le conseguenze, come si dice, adeguandosi. Così anche una semplice norma che obblighi a distruggere le intercettazioni che non contengono elementi connessi con l’inchiesta non può essere emanata, anche se non darebbe alcun danno all’approfondimento delle indagini. Toglierebbe alla magistratura politicizzata uno strumento ambiguo di condizionamento dell’opinione pubblica e tanto basta per rendere intoccabile un abuso incostituzionale.

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