Democrazia non immune

Redazione

Vent’anni di ipocrisia senza dire che l’abolizione dell’art. 68 è un male.

Sulla questione della cosiddetta immunità per i senatori, che in realtà consiste nel mantenere una minima garanzia di autonomia della politica da eventuali persecuzioni giudiziarie, prosegue un dibattito loffio, non di rado insincero, sicuramente di corta memoria nel quale il ceto politico nel suo complesso non ha saputo o voluto rispondere, preferendo balbettare sciocchezze sull’origine della proposta, della quale in sostanza ci si vergogna. Al di là dell’esito ancora non scontato della riforma, ciò che suscita impressione è che non si sia aperta nemmeno stavolta alcuna battaglia di principio a difesa della scelta operata dai Padri costituenti, che non erano degli ingenui, quando avevano deciso di istituire una vera immunità parlamentare, poi sciaguratamente abolita sotto il ricatto della procura milanese ai tempi di Tangentopoli. Ma non è una debolezza di oggi: sono ormai più di vent’anni che la politica e in generale la società italiana si barcamenano tra ipocrisia e paura sul tema della immunità. Perché Giuseppe Dossetti e Palmiro Togliatti, Ferruccio Parri e Pietro Nenni concordarono sull’esigenza di rendere insindacabile l’azione dei parlamentari nell’esercizio delle loro funzioni e sul diritto di un parlamentare di chiedere ai suoi colleghi di sospendere gli eventuali ordini di arresto della magistratura? Certamente non volevano difendere i ladri, seppur non essendo ingenui sapevano che il rischio in certi casi sarebbe stato corso, ma temevano che poteri non elettivi, espressione di una casta professionale, interferissero nella vicenda politica. E’ innegabile che è esattamente quel che è accaduto nel corso del ventennio che ci separa dall’abolizione dell’articolo 68 della Costituzione. La corruzione, si dice, è sopravvissuta, ma la politica è diventata pavidamente soggetta a poteri non elettivi, il che condiziona pesantemente la base stessa della democrazia, la sovranità popolare. Generazioni di politici successive sono state decapitate, ma siccome questo non è accaduto attraverso il metodo fisiologico del voto, lo stesso carattere di legittimità delle istituzioni viene costantemente logorato. Senza una battaglia aperta per ripristinare l’equilibrio costituzionale tra poteri e organi dello stato, la situazione resterà precaria e scivolosa. Parlare di grandi riforme della giustizia, laddove non si ha il coraggio di discutere dello strumento minimo, previsto in quasi tutte le democrazie, di tutela del potere politico legittimo, è pestare acqua nel mortaio.

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