Campioni contro. Neymar e Messi icone di due popoli

Pierluigi Pardo

Come Pelè e Maradona? Quasi. Forse. Oppure sì, senza paure. Nel gioco dei paragoni impossibili che infiamma il Mondiale c’è spazio per molte opinioni sul tema che appassiona tutto il continente.

Come Pelè e Maradona? Quasi. Forse. Oppure sì, senza paure. Nel gioco dei paragoni impossibili che infiamma un Mondiale fin qui molto spettacolare e piuttosto sudamericano c’è spazio per molte opinioni sul tema che appassiona tutto il continente (e non solo). E poi ci sono i fatti. I numeri. Le coincidenze e le prime volte.

 

Ok, Diego non aveva bisogno di tirare le punizioni al Mondiale. Lui gli avversari li saltava come birilli impotenti, o li beffava con trucchi diabolici e mano di Dio. Comunque sia, nel terzo match del girone, contro la Nigeria, all’Estadio Beira-Rio di Porto Alegre, nell’angolo più meridionale e argentino di questa coppa, tra donne bionde e magre e invasioni albicelesti (Buenos Aires è distante “solo” mille chilometri), è successo qualcosa di storico. Era dal 1982, dal gol inutile di Passarella contro l’Italia che l’Argentina non segnava su punizione al Mondiale. E, dettaglio che non scalfisce minimamente la grandezza del Pibe, Maradona non aveva mai colpito su calcio piazzato nella storia della Coppa.

 

Contro gli africani abbiamo visto anche il gol più veloce della carriera di Leo, segnato dopo 146 secondi di gara, un altro messaggio preciso ai cugini brasiliani, che provano a farsi coraggio e a non guardare in basso a destra il tabellone. Tutti i presagi di sventura su Leo, i misteriosi conati di vomito, la stagione così così  (41 gol sono moltissimi ma rappresentano il peggior risultato degli ultimi cinque anni col Barca), svaniscono nel tempo brevissimo del girone mondiale. 4 gol segnati, pesanti, decisivi e bellissimi. In televisione le sue pubblicità vanno a rullo. Perfino Fidel Castro non è riuscito a trattenersi e nella sua lettera a Maradona di un paio di giorni fa ha elogiato l’erede. Leo e Diego, “formidabili atleti che portano gloria al popolo argentino (malgrado lo sforzo meschino degli intriganti)”. C’era scritto proprio così.

 

[**Video_box_2**]Ma anche il Cristo del Corcovado che benedice Rio de Janeiro davanti alla vista maestosa del Pao de Azucar ha il suo Dio profano da celebrare, con la camisa verde e vermelha. Quattro gol pure lui. Neymar nella Selecao trova una dimensione compiuta, libera dall’etichetta di numero due che ha avuto invece nella prima stagione al Barca, inevitabilmente all’ombra di Messi. Nei momenti difficili di questo girone complesso, soprattutto contro Croazia e Messico ha saputo traghettare la squadra fuori dai guai, ne è stato l’anima, il giovane veterano.  Come un anno fa in Confederations Cup sta dimostrando che il Brasile è la sua squadra, molto più del Barcellona, che pure ha pagato 57 milioni un anno fa per averlo. Ha già raggiunto il bottino di gol della Confederations di un anno fa, dopo i 15 (pochi) della sua prima stagione catalana. Con la doppietta al Camerun ha toccato quota 35 gol in Nazionale, saltando di netto Rivaldo e Ronaldinho e posizionandosi solo dietro ai grandissimi. Davanti a lui solo Pelè, Ronaldo, Romario, Zico e Bebeto. E, dettaglio non da poco, alla sua età solo O’Rey ne aveva fatti di più.

 

E così, tra tramonti sghembi e romantici, e risvegli accaldati, cresce l’attesa. Ogni giorno che passa tra grandi o presunti tali che cadono (Cristiano, il Nino, Mario) o che si buttano via a morsi, emerge sempre più chiaro il disegno del Dio del calcio. Farli incontrare, quei due, nella madre di tutte le partite, in una calda domenica di luglio carioca, all’apice della rivalità, nello scenario più logico e monumentale che questo tempo e questo mondo possano offrire. Con un pallone in mezzo, tondo come il destino. I popoli rivali e cugini schierati, l’incubo o il sogno di un nuovo Maracanazo e noi qui fuori. Stupiti, ammirati, invidiosi, felici di guardare il loro entusiasmo, la classe, l’estasi e la disperazione. La magia lenta di questo gioco che sarà pure inutile, ma del quale non sappiamo proprio fare a meno.

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