Matteo Renzi e Angela Merkel (Foto Ap)

La strada per la flessibilità

“L'Italia forte” in Ue, lo slogan renziano che può conquistare Merkel

Marco Valerio Lo Prete

Flessibilità, non conti allegri. In cambio “Agenda Schröder in 1.000 giorni”. Parla l’ambasciatore Nelli Feroci.

Roma. Berlino convinta da un giorno all’altro a dire “addio all’austerity”. Roma abile a strappare “le concessioni” di una Bruxelles d’un tratto rinsavita. “L’Unione europea volterà pagina” nel semestre di presidenza italiano presentato ieri in Parlamento dal presidente del Consiglio, Matteo Renzi. La cronaca costringe a sintesi iperboliche come queste, spesso approssimative. Tuttavia nemmeno la veduta lunga di chi ha trattato a Bruxelles per i governi Berlusconi, Monti e Letta, curando in prima persona dossier controversi quali il Fiscal compact o lo scudo anti spread come ha fatto l’ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci, può ignorare i cambiamenti in corso nel Vecchio continente. Dal 2008 al 2013 rappresentante dell’Italia a Bruxelles, Nelli Feroci preferisce però sottolineare “la nuova e rafforzata consapevolezza di quanto sia necessaria una frustata di modernizzazione in Italia”. Cambierà l’Europa, quindi, ma “finalmente sembriamo cambiati pure noi”.

 

Renzi, alla Camera dei deputati, ha detto di voler “raccontare come immaginiamo di gestire il semestre europeo a presidenza italiana”, partendo dalla strategia per il vertice Ue di domani a Ypres e dopodomani a Bruxelles. In quella sede si tenterà l’accordo sulle nomine dei vertici di Consiglio Ue e Commissione. Il premier però sostiene che non sarà “semplicemente indicando Juncker o un altro” che si farà la differenza. Immigrazione e situazione economica saranno il merito del confronto. “Il rispetto per le regole per noi non è in discussione”, ha detto Renzi reagendo indirettamente a chi in Germania ha già cominicato a mugugnare (come il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble e il presidente della Bundesbank Jens Weidmann) dopo le aperture del portavoce della cancelliera Merkel sulla “flessibilità” da utilizzare nel risanamento dei conti. Il premier propone piuttosto un altro “percorso”, da pianificare col Parlamento “in 1.000 giorni”: “Lo scambio tra il processo di riforme” in Italia e “l’utilizzo di margini di flessibilità delle regole esistenti” in Europa, come fece la Germania dopo il 2000. “Roma comincia un percorso in salita ma sulla strada giusta, senza prendere di petto Berlino”, commenta con il Foglio Nelli Feroci. 

 

“Muovere una guerra diplomatica alla Germania sarebbe inutile oggi come lo è stato in passato – dice l’ambasciatore Nelli Feroci, oggi presidente dell’Istituto affari internazionali e di Simest, società controllata dalla Cassa depositi e prestiti che sostiene le imprese all’estero – Spesso ho visto i rappresentanti tedeschi, nelle trattative più serrate, chiudere il discorso rimandando ai possibili veti che sarebbero stati posti dal Bundestag o dalla Corte costituzionale. E oggettivamente non c’è leader europeo che debba rispondere in patria a un controllo così intrusivo come quello cui è sottoposta Merkel”. Ora però da Berlino arrivano segnali d’apertura. E’ archiviata l’Eurozona che ruotava attorno al Fiscal compact e all’austerity? No, per Nelli Feroci non fu “vano” quel laborioso processo per imbrigliare i conti pubblici: “Il processo di aggiustamento in alcuni paesi è stato pesante, ma ora nessuno lo mette in dubbio. Questo ha consentito alla Banca centrale europa di dispiegare senza opposizioni la sua creatività, grazie al cielo, per immettere liquidità nel sistema in varie forme, per esempio con le Outright monetary transactions del 2012 e con i nuovi finanziamenti ‘condizionati’ alle banche appena annunciati. Ho detto ‘grazie al cielo’? Mi correggo: grazie al presidente Mario Draghi”.

 

Il Fiscal compact poi non fu vano perché “oggi, giustamente, il governo vuole sfruttare due forme di flessibilità già concepite tra 2011 e 2012. Flessibilità nella tempistica, o ‘traiettoria’ come è chiamata in gergo, per rientrare nei parametri di deficit e debito pubblico. Fu concessa due anni fa a molti paesi, tra cui Francia e Spagna, a discrezione della Commissione. Inoltre c’è la possibilità di esonerare alcune categorie di spesa pubblica dal calcolo dei tetti a deficit e debito. Il problema è che, per mancanza di fiducia verso alcuni paesi, non si è mai trovato l’accordo su quali spese scomputare. L’idea più verosimile è quella di esonerare i fondi cofinanziati a metà dall’Ue e dagli stati membri, già indirizzati su progetti ‘bollinati’ da Bruxelles”. Quello che non riuscì del tutto nemmeno al rigorosissimo Monti potrebbe però riuscire a Renzi. “Sono cambiate le condizioni politiche. C’è il campanello d’allarme dell’astensione e del voto euroscettico nel giugno scorso richiamato da Renzi in Parlamento. Poi c’è la Grande coalizione in Germania, con i socialdemocratici decisi a pesare. Sono venute da loro, non a caso le prime aperture su una maggiore flessibilità”. Inoltre “le condizioni politiche sono cambiate in Italia – dice l’ambasciatore – Di fronte al Parlamento c’è Renzi, un leader riconosciuto e adesso legittimato dal voto delle europee”. Nelli Feroci riconosce questa consapevolezza nel riferimento fatto ieri da Renzi al “copia e incolla tecnocratico” che non basta più: “La svolta di credibilità del paese ci fu con Monti, certo, ma il ritmo riformatore di quel governo rallentò non appena l’emergenza finanziaria sembrò passata”. Ma l’emergenza non era passata: “Di fronte ai dati sul pil anemico e sulla disoccupazione, oggi ci consoliamo con la tenuta delle nostre esportazioni, ma dalla competitività delle nostre imprese alla scarsa attrattività degli investitori esteri, restiamo in fondo alle classifiche globali per molti fattori. Il governo Renzi e la classe dirigente del paese adesso paiono genuinamente disposti a compiere fino in fondo un percorso riformatore. Non perché ce lo chiede l’Europa, ripete il premier”. La “supplenza tecnocratica” ha esaurito il suo ruolo, secondo Nelli Feroci che pure non minimizza quella parentesi anomala: “Ai tempi di Monti il paese ha vissuto uno dei maggiori successi diplomatici degli ultimi anni, quello che nel giugno 2012 spinse Berlino, non solo con le buone, a riconoscere che c’erano anche fattori sistemici che influenzavano l’andamento degli spread, i differenziali di rendimento tra i titoli di stato, aprendo a un intervento della Bce”. Adesso “è la politica che si propone di supplire” a certe rigidità: “Non basterà però sbloccare 5-10 miliardi di investimenti pubblici se poi, come dimostra la sorte dei fondi strutturali europei, non sapremo farli fruttare”. Perciò, conclude l’ambasciatore, conta l’impegno di Renzi a replicare – “finalmente con una tempistica realistica, tre anni” – un’agenda in stile Schröder, dal mercato del lavoro al welfare: “Non fu un pranzo di gala in Germania. Susciterà nuove opposizioni anche qui”. Altro che Fiscal compact o Angela Merkel.

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