Manifestanti pro-Isis festeggiano l'arrivo dei combattenti sunniti a Mosul (Foto Ap)

Un abitante di Mosul racconta come si vive sotto l'Isis

Daniele Raineri

 “Tutto ok, per ora”. Ahmed el Iraqi dice che non ci sono stati cambiamenti drastici. Ma tutte quelle Toyota?

Roma. Ieri quaranta infermiere indiane  che lavorano in un ospedale di Tikrit, quindi in una città finita sotto il controllo dello Stato islamico, hanno deciso di restare al lavoro perché i guerriglieri iracheni hanno garantito loro che continueranno a ricevere la paga e nessuno farà loro del male. Per ora il gruppo islamista – che guida una lega mista di altri gruppi ribelli – ha scelto di interpretare con più scaltrezza rispetto al passato l’occupazione del territorio fino a una settimana fa controllato dal governo. Il Monde fra gli altri racconta che a Mosul lo Stato islamico ha pubblicato un editto in cui annuncia l’entrata in vigore della sharia nella sua forma più severa – niente alcolici, tabacco, droghe, preghiere obbligatorie e donne a capo coperto – ma gli abitanti dicono che per ora l’applicazione non è implementata con la durezza temuta. Era successo così anche a Raqqa, la città siriana strappata alle truppe assadiste nel marzo 2013 e finita sotto il controllo dello Stato islamico durante l’estate, poi la situazione è degenerata (cadaveri appesi). Ahmed el Iraqi, un attivista di Mosul in contatto con il sito della rivoluzione siriana TahrirSy, dice che non ci sono stati cambiamenti drastici: “Onestamente, i civili stanno bene adesso. Le famiglie di Mosul non hanno sperimentato le cose toccate alla gente di Ramadi sotto al Qaida. Sono spaventati, ma sono ok. Mia sorella è andata al lavoro a Mosul, ed è uscita da sola, nessun muhram (è l’obbligo di essere accompagnate da uomo della famiglia), ed è un viaggio di venti chilometri. Lo Stato islamico ha promesso ai professori che manterrà il loro stipendio se rimangono. I cristiani sono ok, e lo stesso vale per gli sciiti. Penso che la ragione per cui l’Isis si è fermato a Tikrit è che la gente si è spaventata dopo l’esecuzione di quei 1.700 (l’Isis ha detto di avere giustiziato 1.700 soldati, in realtà sembra si tratti di 170). Prima la gente diceva cose come ‘eh, per ora con l’Isis va bene’. Lo Stato islamico a Mosul aveva un appoggio forte da parte delle tribù, che hanno protestato molte volte contro Maliki. Non penso si tratti di una rivoluzione però”. Il sito chiede a El Iraqi: “Ho una domanda che mi tormenta da un paio d’anni, magari neanche tu conosci la risposta, com’è che la maggioranza dei ribelli in Siria e ora in Iraq guida dei pick-up nuovi della Toyota? E’ quasi dovunque quella macchina!”. “Questa domanda tormenta anche me! Non ne ho idea! Quella macchina costa trentacinquemila dollari. Un sacco di soldi arriva dai capi delle tribù e dalle cooperative di fattorie. Lo Stato islamico ha anche gruppi che fanno estorsioni, il governatore di Ninive (la provincia di Mosul, ndr) sta al sicuro e i suoi progetti stanno al sicuro finché lo Stato islamico si prende il 10 per cento. Per un progetto da 80 milioni di dollari, si prendono 8 milioni. Hanno tonnellate di soldi. Hanno fatto anche sequestri, per incassare il riscatto”. Ci sono europei dell’Isis lì? “Nei primi giorni c’erano molti tunisini. Il sermone del venerdì è stato fatto da un tunisino. Anche molti sauditi e yemeniti. Non ho idea del perché ci siano molti tunisini. Il mio capo è una tunisina, neanche lei lo sa. Forse è una reazione alla svolta liberale in Tunisia”.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)