Alberto Alesina

The New Right

Marco Valerio Lo Prete

L’intuizione dei liberali Usa secondo Alesina: assaliti dalla diseguaglianza  e da Piketty, trovano la classe media.

Roma. I neoconservatori che influenzarono la politica estera dell’Amministrazione Bush ai tempi della guerra al terrore furono definiti “liberal assaliti dalla realtà”. La “New Right” che sta emergendo oggi negli Stati Uniti, più semplicemente, sembra essere composta da “liberali assaliti da Piketty”. Alberto Alesina, professore di Economia a Harvard e oggi visiting professor alla Bocconi, in una conversazione col Foglio ragiona attorno al libro-manifesto “Room to grow”, appena pubblicato da un gruppo di intellettuali negli Stati Uniti nel tentativo di fornire nuove (e vincenti) idee alla destra americana. “Room to grow” è stato accolto da David Brooks, editorialista conservatore del New York Times, come “il documento di policy più coerente e convincente che la destra americana abbia finora prodotto in questo secolo”. Il secolo è appena cominciato, ma per Brooks è già stato lungo a sufficienza per preferire la destra emergente moderata rispetto a quella intransigente e ultraliberista dei Tea Party. Alesina, che nel 2012 fu uno dei pochi pensatori italiani a dirsi pubblicamente a favore dell’elezione del repubblicano Mitt Romney e non della rielezione di [**Video_box_2**]Barack Obama, parla del manifesto in questione come di una “ottima intuizione”: “Alle elezioni di due anni fa il Partito repubblicano per vincere si sarebbe dovuto spostare verso il centro, così da conquistare una fetta maggiore del voto moderato. Invece alcuni sussulti troppo estremistici non consentirono tutto ciò. Adesso è estremamente positivo che ci si stia attrezzando intellettualmente per non ripetere quell’errore”. Alesina, editorialista del Corriere della Sera, è stato anche direttore del dipartimento di Economia dell’Università di Harvard, l’ateneo di Boston che ha pubblicato la versione inglese del libro “Il Capitale nel Ventunesimo Secolo”, di Thomas Piketty. L’economista italiano ammette che il successo del collega francese “ha contribuito a riportare con forza il dibattito sulla diseguaglianza economica, a dire il vero già sviluppato in ambito accademico, nello scontro mediatico. La destra liberale doveva avere una risposta”. 

 

Alesina perciò apprezza “l’enfasi posta da questa ‘nuova destra’ sul benessere da garantire alla classe media”, anche a costo di lasciare in secondo piano la battaglia purista e di reaganiana memoria per abbassare le aliquote massime delle tasse sul reddito. Il problema è che “in una fase di crisi economica, con la criminalizzazione generalizzata della finanza e del liberismo che l’avrebbero scatenata, è più facile fare presa sull’opinione pubblica parlando di diseguaglianza. Ciò però rischia di lasciare in secondo piano elementi importanti. Per esempio il fatto che nel mondo occidentale la distribuzione dei redditi sarà pure diventata meno egualitaria dagli anni 70 a oggi, ma dagli anni 30 agli anni 60 dello scorso secolo la tendenza era stata esattamente opposta”. “La diseguaglianza poi diventa insopportabile quando, invece di essere dovuta a differenze di impegno o di intelligenza, appare frutto di favoritismi legislativi o di diffusi episodi di corruzione”. Infine, certo, l’europeo medio non sarà sollevato dall’idea che “la diseguaglianza mondiale è in costante riduzione, ma pure questo dato va considerato – dice Alesina –. La povertà si riduce nel mondo, e questo conta. Durante la Grande depressione degli anni Trenta la diseguaglianza diminuì. Eppure non fu un bel vedere, considerato il drastico aumento della povertà”. Per tutte queste ragioni, “dal punto di vista dell’offerta politica, deve esistere una risposta alternativa a quella offerta da Paul Krugman e pianificata da Obama”, dice l’economista italiano, il cui nome compare in queste ore in un pamphlet dell’Heritage Foundation, think tank conservatore statunitense, che offre una lettura tutt’altro che negativa della cosiddetta “austerity” fiscale.

 

Occorre “più stato” in occidente perché il destino è “meno crescita”? “La tesi della ‘stagnazione secolare’ non regge alla fondamentale imprevedibilità dello sviluppo tecnologico e al decisivo apporto di quest’ultimo alla crescita”. Perciò è prezioso il ragionamento di James Pethokoukis, uno degli autori di “Room to grow”, che sostiene la necessità di creare un ambiente istituzionale che contribuisca non solo all’innovazione di processo (trovare modi più efficienti di fornire beni e servizi) ma pure all’innovazione intesa come creazione di nuovi beni e servizi. Davvero conviene alla destra trasformarsi nel movimento dei “policy wonk”, cioè dei secchioni della politica? “Come diceva il grande Rudi Dornbusch – conclude Alesina parlando dell’economista del Mit scomparso nel 2002 – ‘I problemi difficili hanno sempre risposte molto facili. Peccato che siano sbagliate’. Perciò oggi un contributo intellettuale più sofisticato, dopo la sbornia dei Tea Party, sarà utile ai liberali americani”.  

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