La Costituzione creativa

Redazione

Non passa giorno, si può dire, che la più alta magistratura della nazione, quella che interpreta la Suprema carta, non offra spunti su cui riflettere a causa delle sue decisioni che sovente travalicano il limite dell’interpretazione per passare nei territori vergini della creazione.

Non passa giorno, si può dire, che la più alta magistratura della nazione, quella che interpreta la Suprema carta, non offra spunti su cui riflettere a causa delle sue decisioni che sovente travalicano il limite dell’interpretazione per passare nei territori vergini della creazione. Una schumpeteriana distruzione creatrice, si direbbe, non fosse che sul lato della distruzione tocca spesso e volentieri raccogliere macerie di buon senso e diritto naturale, mentre sul fronte della creatività non si riscontra sempre adeguata dottrina. Giorni fa, nelle motivazioni della sentenza che ha smontato la legge 40, la soppressione del divieto di fecondazione eterologa si trasformava magicamente nel “diritto incoercibile” ad avere figli. “Diritto” più che altro inaudito, specie nella forma di una “generale libertà di autodeterminarsi”. Manco fosse l’indipendenza della Catalogna.

 

L’altro giorno la Corte creatrice di nuovi diritti costituzionali ha invece dichiarato illegittima la norma (legge 164 del 1982 in materia di rettificazione di attribuzione di sesso) che annulla le nozze se uno dei due coniugi cambia sesso. Perché non consente “ove entrambi lo richiedano, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata”. Alla base, il caso di una coppia di Bologna che si era vista annullare il matrimonio dopo che lui aveva deciso di diventare donna. Se ne deduce che. Il matrimonio, istituto naturale prima ancora che costituzionale, è oramai così volatile che la legge prevede il diritto di poterlo sciogliere in quattro e quattr’otto. Epperò, nel caso che detto matrimonio si sciolga in modo naturale, cioè perché non c’è più il marito, questo invece non lo si può fare. Il “divorzio d’ufficio” non vale. Perché a “sostituirlo” mancano i pacs, o il matrimonio gay. Così si è creato l’unicum, o il mostro giuridico, di un matrimonio tra due donne considerato indissolubile. Solo quello. Come sempre, sono piovuti apprezzamenti sulla sentenza che “va letta come un forte invito al legislatore”. In effetti, gli avvocati avevano chiesto ai giudici di considerarsi “un organo della società civile prima che un organo dello stato”. Sono stati esauditi. E la società civile, si sa, è assai creativa.

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