Mundial e fantasmi

Maurizio Stefanini

O futebol está voltando pra casa”, ricorda sugli schermi la martellante pubblicità della birra Brahma. “Il Brasile è il Paese del calcio ma è anche il Paese delle feste”. “La nostra Coppa del Mondo sarà la migliore di tutte”.

O futebol está voltando pra casa”, ricorda sugli schermi la martellante pubblicità della birra Brahma. “Il Brasile è il Paese del calcio ma è anche il Paese delle feste”. “La nostra Coppa del Mondo sarà la migliore di tutte”. “Il Paese che fa i migliori derby, il Reveillon e il Carnevale”. “Immagina le spiagge, immagina le città, immagina il Brasile, immagina la festa”. Insomma: “il calcio sta tornando a casa e sarà la più grande festa di tutti i tempi”. E qui c’è tutto, o quasi. Il Paese di Pelè, della samba, del tanga, della bossa nova, del Pan di Zucchero, della Garota da Ipanema e di Copacabana, se vogliamo, anche del Modello Porto Alegre e del mito di Lula.  Adesso anche il membro del Brics – che sorpassa la produzione industriale dell’Italia – cerca nel Mondiale e nelle Olimpiadi la conferma del proprio salto di qualità.

 

Il Brasile, però, è anche un Paese di fantasmi, quasi peggio della Scozia. Non li ostenta come i sederi delle ballerine o i palleggi dei campioni, certo. Ma alla fine saltano fuori comunque. Fantasmi un po’ sinistri che emergono nei riti di possessione propri dei culti afro-brasiliani, che infatti Vinicius de Moraes volle ricollegare al classico mito di Orfeo e Euridice. Fantasmi positivisti nella chiesa spiritista, da sempre di gran moda tra la borghesia locale. Fantasmi allegri nei romanzi di Jorge Amado: il Vadihno amante ardente di Dona Flor;  il Quincas, l’Acquaiolo che tornò a fare bisboccia con gli amici. Ma anche quelli calcistici, in pubblicità che si sono divertite a spaventare i tifosi locali. Come è successo per il “fantasma del ’50” dello spot della Puma, che col suo lenzuolo ricordava la sconfitta con l’Uruguay di 64 anni fa. Il Paolo Rossi dello spot della Visa, che riporta un barbiere al trauma infantile del 1982, quando strappò la figurina del goleador italiano dal suo albo e suo padre gettò con rabbia la tv, distruggendola in mezzo alla strada. Dopo aver accarezzato nervosamente il rasoio, il barbiere sorride a “Paulinho”: sia la Visa sia il Brasile danno il benvenuto a tutti. Ma a quel punto gli si presenta, per i brasiliani altrettanto inquietante, anche la pelata di Zidane.  

 

[**Video_box_2**]Per non parlare dei fantasmi evocati dalle contestazioni nelle piazze. “Siamo un Paese paradossale”, ha detto con rabbia lo scrittore emergente Luiz Ruffato alla Fiera del Libro di Francoforte. “Ora il Brasile sorge come una regione esotica, di spiagge paradisiache, foreste edeniche, carnevale, capoeira e calcio; ora come un luogo esecrabile, di violenza urbana, di prostituzione infantile, disprezzo per i diritti umani e disdegno per la natura”. “La settima economia del pianeta e il terzo Paese più ineguale”. “La Coppa del Mondo poteva essere una benedizione e un tempio di comunione ed è diventato un disastro”, si è lamentato Paulo Coelho. “Dalle proteste del 2013 è venuto allo scoperto l’esaurimento del modello di Lula e Dilma”, è la dura analisi del geografo Maurício Costa de Carvalho. “Una Coppa del Mondo in Sudafrica, una in Brasile, una in Russia: che c’è in comune tra questi tre Paesi?”, chiede polemico Juca Kfouri, il più famoso giornalista e blogger sportivo brasiliano. “Sono tre Paesi di democrazia incipiente e poco controllo sociale. La Fifa preferisce i Paesi dove bisogna costruire stadi a quelli che, come l’Inghilterra, sono già preparati a seguire le grandi competizioni internazionali”. Di “triplice narrativa” parla Bernardo Buarque de Hollanda, il massimo storico del calcio brasiliano: lo Stato che vuole mostrare la sua capacità, la società che vuole mostrare la sua ospitalità, la nazionale che vuole mostrare la sua forza. Con il rischio che la cattiva performance di anche uno solo di questi tre finisca per riverberarsi sugli altri. 

 

Non succede, ma se succede “Se il Brasile non vince, anche Dilma rischia la rielezione”, concorda Roberto Lovari, un ex-presidente della Provincia di Roma che oggi gestisce una rubrica latino-americana su Radio Radicale. A Bahia, invece, Lovari insegna all’Università. Però lui, parlando col Foglio, si mostra più ottimista della media degli intellettuali brasiliani. “Il governo ha fatto uno sforzo gigantesco. E’ vero che l’occasione ha catalizzato tutte le proteste possibili, è vero che il Brasile ha grandi problemi di ordine pubblico, ma è anche un Paese che ha esperienza nell’organizzazione di grandi eventi. Pensiamo al Carnevale o a Rock em Rio. A Bahia posso testimoniare che quando è Carnevale la gente è in strada fino alle 5 del mattino, ma poi entro le 12 è già tutto perfettamente in ordine. Riescono a far sparire anche il tremendo odore di orina, che non è poco”. E’ ottimista anche un altro ex politico italiano, divenuto a sua volta brasilianologo: Vincenzi Fratta, già presidente del XIII municipio di Roma, autore di un libro sul movimento fascista brasiliano e di una storia della squadra “italiana” del Palmeiras. “La protesta della classe media è cresciuta, insieme a quella sindacale per ottenere aumenti salariali. Poi c’è quella dei Black bloc, ma è molto minoritaria. Secondo me, quando le partite inizieranno, resteranno solo questi ultimi a fare un po’ di casino. La maggior parte dei brasiliani è gente positiva che desidera cose positive”.