Mondiali per le élite

Francesco Caremani

Dal 2007 al 2012 il Brasileirao ha perso oltre un milione e mezzo di spettatori e la media per partita è scesa da 17.400 a 12.900. Un fenomeno che colpisce per due motivi strettamente legati.

Dal 2007 al 2012 il Brasileirao ha perso oltre un milione e mezzo di spettatori e la media per partita è scesa da 17.400 a 12.900. Un fenomeno che colpisce per due motivi strettamente legati: la passione che i brasiliani hanno per il calcio e l’avvicinarsi dei Mondiali che mancavano dal 1950. Al Maracanà una volta il biglietto più economico costava 40 real, oggi ne costa 80, 150 se ci si aggiunge un frugale pasto da stadio: “È il frutto della trasformazione degli impianti e di conseguenza dei loro frequentatori, sempre più consumatori, sempre meno tifosi”, ha sottolineato Antonio Oswaldo Cruz, antropologo dell’Università Federale di Rio de Janeiro. Secondo lui in Brasile è stato importato il modello europeo e la privatizzazione degli stadi ha fatto il resto. Emblematiche le parole di un dirigente dell’Atletico Paranaense: “Non voglio più il tifoso che beve, si ubriaca e poi viene a vedere la partita, voglio un pubblico di spettatori”. Banalmente si potrebbe archiviare tutto alla voce imborghesimento, frutto di un’economia emergente che investe ogni ambito della società, più finemente si parla di gentrificazione, un insieme di processi urbanistici, economici e culturali di un’area metropolitana che ne modificano anche la popolazione, fuori quella operaia dentro la classe media; di fatto la gentrificazione applicata agli impianti sportivi.

 

Dal 2003 al 2013 i biglietti sono aumentati del 300 per cento contro l’inflazione che è cresciuta del 73 per cento, il salario minimo del 183 e il reddito medio dei lavoratori del 37 per cento. Il 28 luglio 2013, prima del derby Flamengo-Botafogo, una trentina di sostenitori delle due squadre inscenò una protesta divertente e pacifica: gli uomini indossavano cravatte sopra le maglie dei rispettivi club e scarpe eleganti, le donne cappelli e vestiti lunghi, mentre un cartello recitava: “Silenzio, giocatori”; protesta terminata poi con un tè alle cinque del pomeriggio. Un messaggio chiaro: il calcio brasiliano sta tornando alle origini, quando era completamente appannaggio della borghesia, quando i neri erano esclusi, quando la democrazia razziale altro non era che l’applicazione del darwinismo sociale: “Poiché una nazione moderna non può essere formata in prevalenza da discendenti africani e da meticci, non resta che sbiancare la società attraverso le unioni tra maschi bianchi e donne nere. La popolazione nera e meticcia, insomma, diventa un ostacolo per il progresso della nazione”, ha scritto Valeria Ribeiro Corossacz nel libro ‘Razzismo, meticciato, democrazia razziale. Le politiche della razza in Brasile’. Un dato? Il 45 per cento dei brasiliani è nero o meticcio, contro una popolazione universitaria bianca per circa il 90 per cento, nonostante gli interventi dell’ex presidente Lula.

 

[**Video_box_2**]Secondo uno studio della società di consulenza Mazars, i 14 club più importanti del massimo campionato brasiliano devono il 37,3 per cento dei propri ricavi ai diritti televisivi, il 17,1 per cento al marketing, il 14,7 alla vendita dei giocatori e solo 6,8 a quella dei biglietti: “Essendo lo spettacolo calcio legato all’offerta mediatica deve seguire certe regole, è il modello inglese nato dopo gli anni ’90; in questo senso il sostenitore militante è una minaccia per lo spettacolo televisivo”, ha dichiarato Christopher Gaffney, geografo dell’Università Federale Fluminense e membro dell’ANT (Associaçao Nacional de Torcedores). Per l’economista Fernando Pinto Ferreira, fondatore della società Pluri Consultoria specializzata in marketing sportivo, invece è stato solo un errore di calcolo: “La crescita economica del Brasile ha indotto alcuni a pensare che la gente sarebbe stata disposta a pagare di più per certi prodotti, tra cui il calcio”, producendo i biglietti più cari tra i maggiori campionati internazionali.

 

I brasiliani hanno protestato e protesteranno (si parla anche di movimenti degli anarchici sudamericani) per i costi elevati dell’organizzazione dei Mondiali (gli stadi sono costati oltre 8 miliardi di real contro i 6 previsti), per le mancate promesse d’investimenti nelle infrastrutture pubbliche, per l’eliminazione d’interi quartieri intorno agli stadi e anche perché qualcuno ha deciso di globalizzare forse l’unico movimento pedatorio che per circa un secolo era rimasto uguale a se stesso, figlio di un popolo capace di amare più i campioni sfortunati che i campioni tout court, quello stesso popolo che pensava di festeggiare davanti al mondo il proprio modo di giocare a futebol. Molti impianti dopo il torneo non avranno alcun senso rispetto all’utenza del territorio nel quale sono stati costruiti, come l’Arena Amazonia di Manaus (costata 605 milioni di real). È Brasile 2014, ma al netto delle proteste sembra Italia ’90.

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