Così Uber ha trasformato in oro l'eurosciopero dei tassisti

Luciano Capone

Ieri i tassisti si sono fermati in molte città europee, da Londra a Parigi, da Amburgo a Barcellona, Berlino e Milano, l’obiettivo dello sciopero è Uber.

[**Video_box_2**]Ieri i tassisti si sono fermati in molte città europee, da Londra a Parigi, da Amburgo a Barcellona, Berlino e Milano, l’obiettivo dello sciopero è Uber, la società californiana che in pochi anni ha rivoluzionato il trasporto urbano in tutto il mondo: “A un sistema basato sulla tecnologia – aveva annunciato Sergio Ligato della Uil – noi opponiamo un contrasto basato sulla tecnologia. Attraverso i social network abbiamo stretto collegamenti con altre città per uno sciopero europeo”. Alla concorrenza considerata sleale di Uber, l’applicazione per smartphone con cui chiamare un’auto privata per farsi scorrazzare in giro per la città, i tassisti (con licenza) nei mesi passati hanno risposto con blocchi, violenze, intimidazioni e scioperi selvaggi, violando spesso le norme più elementari del “servizio pubblico”, il cui rispetto sarebbe l’unica ragione che giustifica le loro licenze e il loro “monopolio”. In Italia, dopo aver ricevuto l’appoggio del governatore lombardo Roberto Maroni e del ministro dei Trasporti Maurizio Lupi, che avevano definito le app “illegali”, i tassisti milanesi sono tornati a protestare contro l’“abusivismo” e l’“illegalità” di Uber e di tutte le altre app simili, come la neonata LetzGo. Ma stavolta hanno evitato i cortei come nelle altre città europee e i blocchi che nelle scorse proteste avevano alimentato l’ostilità dei cittadini: “Non vogliamo penalizzare troppo la città e le 100 mila persone che ogni giorno usano i taxi, ma solo sensibilizzare la gente”. In realtà, ancora una volta, lo sciopero corre il rischio di trasformarsi in un boomerang per i tassisti.

 

La società americana fondata dal giovane Travis Kalanick ha fatto dell’arte di trasformare le proteste dei tassisti in uno spot a proprio favore un marchio di fabbrica. Uber nella giornata di ieri a Milano, in occasione dello sciopero, ha abbassato le tariffe di tutte le corse del 20 per cento, rinunciando così alla propria commissione: “Rinunciamo ai nostri profitti – spiega al Foglio Benedetta Arese Lucini, general manager di Uber Italia – perché non vogliamo speculare sullo sciopero”. Con un’abile mossa pubblicitaria l’azienda dell’iper-capitalista Kalanick ribalta l’accusa di essere interessata esclusivamente al profitto e si sostituisce ai taxi come erogatore del servizio pubblico. Contemporaneamente, come già fatto in diverse altre città americane ed europee, Uber ha chiamato a raccolta i propri utenti lanciando su Twitter l’hashtag #IoStoConUber. I tassisti si trovano così stretti tra la morsa dell’innovazione tecnologica e le proteste degli utenti, rendendosi forse conto che lo sciopero non è più lo strumento adatto per portare avanti i propri interessi e le proprie rivendicazioni. Uber non fa passi indietro, anzi rilancia con una proposta-provocazione: “Noi non siamo contro i tassisti – aggiunge Arese Lucini – vogliamo solo migliorare il servizio, per questo siamo disponibili a lavorare anche con i tassisti, come avviene in altre città, fornendo loro la nostra tecnologia e i nostri servizi”. Mentre i politici italiani di rango nazionale non hanno preso posizione sullo sciopero, ieri è intervenuta in maniera decisa Neelie Kroes, il commissario europeo per l’Agenda digitale: “Che si tratti di taxi, alloggi, musica, voli, notizie o altro il fatto è che la tecnologia digitale sta cambiando molti aspetti delle nostre vite. Non possiamo affrontare queste sfide ignorandole, scioperando o cercando di proibire queste innovazioni”. La Kroes ha ribadito la necessità per l’Europa di modernizzarsi, altrimenti il rischio è che il Vecchio continente non riesca a competere con altri continenti in crescita come l’America e l’Asia. Secondo il vicepresidente della Commissione bisogna dialogare con i tassisti, ma dicendo loro anche spiacevoli verità: “Le innovazioni digitali come le applicazioni per i taxi sono qui per restare. Dobbiamo lavorare con loro, non contro di loro”. Insomma, l’obiettivo di Kalanick di “distruggere il monopolio dei taxi” sembra in discesa, anche perché, come ha ribadito più volte il fondatore di Uber e ora la Kroes, “alla fine il progresso e l’innovazione vincono”.

 

Qualche grattacapo in più viene dagli analisti finanziari, scettici sulla valutazione da 18,2 miliardi di dollari della società californiana. Si tratta di una delle cifre più alte mai raggiunte da una start-up: valutazione che per Uber è quadruplicata nell’ultimo anno. Secondo Dan McCrum del Financial Times, pur usando i parametri più ottimistici possibili, per giustificare un valore di oltre 18 miliardi di dollari Uber dovrebbe avere una platea di circa 60 milioni di clienti fedeli, una cifra che non sembra alta se si pensa agli utenti delle normali app, ma che è straordinariamente elevata se si considera il mercato dei taxi: “E’ l’equivalente dell’intera popolazione di San Francisco, Los Angeles, New York, Chicago, Londra, Washington, Parigi, Toronto, Tokyo e Hong Kong”. Un altro commentatore come Christopher Mims del Wall Street Journal è scettico sulla possibilità che Uber possa continuare a espandersi, oltre alla tecnologia ha poco altro: un esercito di autisti che sono però dei mercenari guidati dal prezzo, una concorrenza che si fa sempre più forte per l’ingresso di nuovi attori come Lyft e un mercato difficile da monopolizzare (a sua volta) che non giustificherebbe l’attuale valore dell’azienda nemmeno se Uber riuscisse a conquistare il 50 per cento del mercato mondiale dei taxi in 5 anni. Mims arriva addirittura a paragonare Uber a Groupon, la famosa società degli acquisti di gruppo online che ha subìto un crollo improvviso dopo una crescita vertiginosa. A differenza dei critici c’è però anche chi ritiene che la valutazione attuale sia addirittura bassa, come Andrew Ross Sorkin del New York Times secondo cui “se Uber dovesse acquisire solo la metà del mercato dei taxi negli Stati Uniti – e non altrove – produrrebbe più di 1 miliardo di fatturato l’anno”. Nei prossimi mesi si vedrà se anche Kalanick riuscirà a mettere a tacere quei “gufi” di analisti.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali