Più si è liberi di pregare, più il pil cresce. Idee americane per l'Ue

Redazione

Quanto maggiore è la libertà di fede che un governo concede ai cittadini, tanto sarà migliore il clima per fare affari e promuovere lo sviluppo economico.

Quanto maggiore è la libertà di fede che un governo concede ai cittadini, tanto sarà migliore il clima per fare affari e promuovere lo sviluppo economico. Addirittura – dimostrano le statistiche più recenti – sono tre i fattori che consentono di prevedere al meglio la crescita del pil di uno stato: la crescita media degli ultimi cinque anni, la stabilità dei prezzi e della politica monetaria, e proprio il grado di libertà religiosa. E’ quanto sostenuto nel saggio “Is Religious Freedom Good for Business? A Conceptual and Empirical Analysis”, appena pubblicato dall’Interdisciplinary Journal of Research on Religion, e che sarà presentato oggi al Parlamento inglese. Gli autori sono Brian Grim, dell’Università gesuitica di Georgetown a Washington e presidente della Religious Freedom and Business Foundation, con Greg Clark e Robert Edward Snyder della Brigham Young University.

Lo studio si basa sulle precedenti ricerche effettuate da Grim per il Pew Forum on Religion in Public Life che hanno dimostrato quanto le restrizioni giuridiche e sociali sulla religione possano avere conseguenze negative tanto dal punto di vista della tutela dei diritti civili, quanto da quello dell’incremento delle ostilità sociali. Questi risultati sono fondamentali per capire il ruolo del fattore religioso nelle transizioni costituzionali in atto in molte regioni del mondo, soprattutto nella sponda sud del Mediterraneo. Basti pensare alle persecuzioni delle minoranze religiose, soprattutto cristiane, non solo in contesti dominati dall’islamismo politico ma anche caratterizzati dall’ascesa del nazionalismo hindu. Grim applica e sviluppa la teoria dei “mercati religiosi” analizzando le implicazioni anche nel contesto delle economie reali. Come in ogni mercato, anche per quello religioso, quanto maggiore sarà la regolazione del mercato da parte dello stato e dei poteri pubblici, tanto maggiori saranno le ostilità sociali e peggiore la qualità del prodotto. L’analisi di Grim e dei suoi coautori va però oltre, arrivando a trovare importanti correlazioni positive fra l’aumento della libertà religiosa e la crescita economica e sociale in diversi paesi. In alcuni casi il fondamentalismo, nei paesi in cui l’islamismo politico è stato rafforzato dalla primavera araba, per esempio, ha già colpito i profitti del turismo o dell’industria culturale. Allo stesso tempo però perdono consumatori le società private occidentali che appaiono come discriminatrici rispetto ai loro dipendenti di fede musulmana. Al di là di questi aspetti episodici, più in generale lo studio dimostra che, se si considerano i dieci indicatori del World Economic Forum che sintetizzano la competitività di un paese (dall’educazione alle infrastrutture comunicative, passando per l’efficienza del mercato del lavoro), questi indicatori hanno performance migliori quando la libertà religiosa è garantita e le ostilità sociali di matrice religiosa sono minori. Nell’analisi si segnalano ulteriori correlazioni positive; ad esempio comparando gli indici del Pew Forum sulle restrizioni alla religione e quelli di Transparency International sulla percezione della corruzione, emerge come otto tra i dieci paesi percepiti come maggiormente corrotti abbiano forti restrizioni nei confronti della religione.

Negli anni scorsi l’Italia si era impegnata sul tema della promozione della libertà religiosa, quantomeno un interesse da parte delle istituzioni europee che avevano fatto della promozione di questo diritto una priorità della politica estera di Bruxelles (così come accade negli Stati Uniti). Soprattutto per ciò che concerne l’islam globale, la variabile “religione” è infatti ormai entrata a pieno titolo nelle valutazioni degli scenari geopolitici. Tornare a prendere in considerazione tutto ciò durante il semestre di presidenza italiana dell’Ue potrebbe essere lungimirante.

di Pasquale Annichino