Il presidente della Bce, Mario Draghi

Draghi stoppa Renzi

Marco Valerio Lo Prete

Un “no” così netto dall’Europa, Matteo Renzi, finora non se l’era mai sentito dire in faccia. Un documento della Bce smonta senza complimenti il tetto ai  superstipendi della Banca d’Italia

Un “no” così netto dall’Europa, Matteo Renzi, finora non se l’era mai sentito dire in faccia. Perfino sul rinvio del pareggio di bilancio, dossier sensibile che il governo mise sul tavolo di Bruxelles lo scorso aprile, la Commissione Ue non ha osato dire “no”, all’inizio della scorsa settimana, al presidente del Consiglio appena legittimato dal voto delle elezioni europee. “E se pure avessero detto no – ha fatto trapelare sui giornali Renzi – non li avremmo seguiti”. Adesso però che un “no” netto è arrivato da Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea, a Roma non s’odono ancora prese di posizione o repliche stizzite [**Video_box_2**]dall’esecutivo. Il banchiere centrale di Francoforte ha smentito il governo su una vicenda finanziariamente più marginale del pareggio di bilancio, certo, ma non meno simbolica: il tetto ai superstipendi della Pubblica amministrazione. Renzi rottami quel che vuole, ma non tocchi l’autonomia della Banca d’Italia (incluso il potere di decidere sulle retribuzioni), è il senso di un parere firmato da Draghi e apparso in queste ore sul sito web della Bce. Oggetto del contendere è il “Decreto-Legge 24 aprile 2014, n. 66”, ormai noto come decreto Irpef. Il testo, approvato dal governo il 24 aprile scorso, oltre a garantire gli 80 euro in busta paga per i redditi più bassi, conteneva anche le coperture per questo sgravio. Tra le misure più popolari figura sicuramente quella contenuta all’articolo 13 del decreto, così intitolata: “Limite al trattamento economico del personale pubblico e delle società partecipate”. Lo stipendio massimo del Primo presidente della Corte di cassazione è stato fissato dal governo a 240 mila euro annui: lo stesso dunque vale per tutti gli stipendi degli amministratori di società pubbliche che per legge prendono la Cassazione come riferimento. Norma contestata dai diretti interessati (Mauro Moretti, allora in Ferrovie dello stato con stipendio di 850 mila euro, sbottò: “Una buona parte di manager se ne andrà all’estero”, salvo poi essere scelto da Renzi per guidare Finmeccanica), norma da alcuni accusata di vellicare certi istinti populisti, norma comunque popolare.

Draghi, in un “parere” firmato di suo pugno e datato “Francoforte sul Meno, il 26 maggio”, critica senza complimenti l’intervento sulle retribuzioni della Banca d’Italia, la sua sostenibilità giuridica e anche filosofica. L’ex governatore della Banca d’Italia (nel 2011 gli succedette Ignazio Visco) prende dunque le difese dei suoi ex colleghi che, alla vigilia dell’approvazione del decreto, quando iniziò a circolare l’ipotesi di un taglio degli stipendi anche per Palazzo Koch, non mancarono di far percepire il loro malumore. Con stile, senza strepiti. Ne uscì un testo di compromesso, nel quale l’esecutivo dedicava un comma ad hoc alla Banca d’Italia che, “nella sua autonomia organizzativa e finanziaria”, avrebbe dovuto adeguare “il proprio ordinamento ai princìpi di cui al presente articolo”. Poi, nelle considerazioni di fine maggio, il governatore Visco tornò indirettamente sul punto: zero menzioni per gli stipendi da tagliare, e invece ampio spazio dedicato all’opera di contenimento dei costi che la Banca centrale ha già avviato al suo interno da anni. Prima che Renzi iniziasse la sua caccia agli alti papaveri della Pa.

Perché Draghi dovrebbe dire la sua su un decreto del governo italiano? La consultazione con Francoforte, quando si mette mano alle Banche centrali nazionali che formano il Sebc (Sistema europeo delle Banche centrali), è ormai d’obbligo secondo i trattati. Perciò il 7 maggio, dal ministero dell’Economia, è partita la richiesta di parere. Tuttavia “la Bce dovrebbe essere consultata prima dell’adozione di un decreto legge”, scrive Draghi, e non due settimane dopo. Il ministero di Via XX Settembre si aggrappa all’urgenza? La Bce ribatte: “Omette di precisare le specifiche ragioni dell’urgenza”. Visto comunque che la relazione tecnica allegata al decreto parla di “norma di indirizzo” sugli stipendi, l’“indipendenza finanziaria della Banca centrale è salva”, chiosa la Bce. A patto che la determinazione dei compensi dei membri del Direttorio (495 mila euro lordi per Visco) spetti sempre al Consiglio superiore di Palazzo Koch. Con buona pace di Renzi. Il premier violerebbe perfino “il divieto di finanziamento monetario” stabilito nei trattati Ue se pensasse di utilizzare le risorse ottenute dal taglio degli stipendi della Banca d’Italia senza che la stessa Banca possa decidere lei di usare in altro modo le risorse. Infine, sempre a difesa dell’autonomia di Bankitalia, Draghi scrive che “il decreto legge dovrebbe specificamente far riferimento non solo all’indipendenza istituzionale e finanziaria della Banca d’Italia, ma anche all’indipendenza personale dei membri dei suoi organi decisionali”. Renzi, il ministro Padoan e il Parlamento che sta convertendo il decreto sono avvertiti.

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