Speciale online 17:35

I capezzoli di Rihanna contro la cultura del piagnisteo americano

Manuel Peruzzo

È difficile dire se questa sia stata di più la settimana delle scuse estorte o della gogna mediatica. Prima un video in cui Jonah Hill, attore di talento, allontana un paparazzo molesto con un candido: «Suck my dick, faggot». Potete immaginare la reazione giornalistica in un paese in cui anche i siti scandalistici cifrano le parolacce. Immediatamente è costretto a scusarsi, e recita il pietoso spettacolo del: “Non sono omofobo, ho tanti amici gay, difendo i loro diritti”, ma siccome è un bravo attore è convincente e aggiunge che non è un modello per i più giovani.

    È difficile dire se questa sia stata di più la settimana delle scuse estorte o della gogna mediatica. Prima un video in cui Jonah Hill, attore di talento, allontana un paparazzo molesto con un candido: "Suck my dick, faggot". Potete immaginare la reazione giornalistica in un paese in cui anche i siti scandalistici cifrano le parolacce. Immediatamente è costretto a scusarsi, e recita il pietoso spettacolo del: “Non sono omofobo, ho tanti amici gay, difendo i loro diritti”, ma siccome è un bravo attore è convincente e aggiunge che non è un modello per i più giovani.

    Le scuse non sono bastate al molto progressista e liberal Salon, il quale ha sostenuto che se Hill vuole sembrare ancora più sincero ed efficace dovrebbe fare più attenzione alle sceneggiature dei film in cui recita. Se fosse stato per Daniel D’Addario di Salon non avremmo mai visto quella meravigliosa scena di Wolf of the Wolf Street in cui il maggiordomo accusato di furto, prima di essere picchiato e sospeso nell’aria dal tetto di un grattacielo, tenta di difendersi dalle accuse con: "voi ce l’avete coi gay", a quel punto il personaggio di Hill dice: "I fucking like gay people, I don't like you".

    Jonah Hill verrà certamente perdonato, perché è un attore per bene. E' andata peggio all'imperdonabile Justin Bieber, che viene quotidianamente definito spazzatura o idiota da ogni giornalista, e che l’attore Seth Rogen ha definito "a piece of shit". Sono usciti dei video in cui fa delle pessime battute razziste. Aveva sedici anni. Siccome la vita di Justin Bieber è quasi completamente registrata e pronta al DVD, quelli erano spezzoni tagliati da speciali biografici di quando Bieber era ancora considerato un bravo ragazzo che intratteneva i vostri figli. Oggi, che è un post adolescente con una vita sessuale disordinata, che fuma marijuana e fa corse automobilistiche molto tamarre e illegali per le strade americane su auto costose, cioè ora che esprime il godimento di un ragazzo giovane, miliardario, sessualmente attivo e intellettualmente poco dotato, se ne può parlare. Parlare male. Subito la cultura del piagnisteo si è mobilitata. Ha iniziato a cercare il colpevole: sarà colpa della cultura omofoba e ipermascolinizzata dell’hip-hop, come sostiene Don Lemon, un mezzobusto della CNN, per il quale occorre smettere di utilizzare la "N-word" (nigger, i liberal non riescono neanche a scriverlo e ti costringono a pensarlo per loro).

    Per capire il grado d'isteria basta dare uno sguardo ai saggi di alcuni studenti che danno tutta la colpa all’egemonia della mascolinità, ai ruoli di genere, alle imposizioni patriarcali, alla cultura dell'intrattenimento di massa. Tutte questioni figlie di quell’accademia abitata da intellettuali progressisti che Tom Wolfe definisce marxisti rococò.

    Ogni fatto viene ridotto a questioni di gender, razzismo, sessismo. Uno squilibrato uccide sette persone? Colpa della società maschilista in cui è cresciuto. Un uomo d’affari dice in una conversazione privata che non vuole dei neri a cena? Razzismo. Il co-fondatore di Firefox che sovvenziona un’associazione anti matrimonio gay? Omofobia. (A tal proposito suggerisco al dimissionario CEO Brendan Eich, costretto ad andarsene poiché i dipendenti si sono sentiti offesi, di aprire una startup con Michael Warner e Bruce Benderson, entrambi attivisti intellettuali omosessuali e contrari al matrimonio).

    Come ha scritto sul Time l'ex giocatore dei Los Angeles Lakers Kareem Abdul-Jabbar per commentare la vicenda di Donald Sterling, "l’intera nazione si è presa una forma grave di sindrome del tunnel carpale a causa del nuovo popolare sport del Puntare il Dito". Tutte queste storie hanno una cosa in comune: video, intercettazioni, scene registrate e pubblicate su siti scandalistici che creano buzz, e articoli di giornalisti che, in pieno stile social, fin dal titolo capisci da che parte è giusto posizionarsi. Non è una battaglia per i diritti civili, è una distinzione continua. Abbiamo smesso di usare il senso critico e iniziato a ragionare come i termini di servizio dei social network, quelli che urtano la sensibilità.

    È sconvolgente che delle celebrità che di mestiere hanno il compito di intrattenerci siano trasformate in pedagoghi. Se si volesse giocar sporco (e lo vogliamo) dovremmo usare un’arma letale per sterminare questi discorsi frolli e la riduzione di tutto a sterili battaglie di gender. Dovremmo usare i capezzoli di Rihanna. Rihanna è la cantante meticcia, impenitente e ribelle in grado di sovvertire ogni discorso moralizzatore. Rihanna è quella che dopo essere stata picchiata da Chris Brown non solo era in prima fila al suo processo, non solo ci ha duettato in una canzone che si chiama “ain’t nobody business”, in un album dal titolo ancora più esplicito (Unapologetic, per nulla dispiaciuto), ma ha pure evitato la canonica redenzione da Oprah. Quando tra le lacrime ha ammesso all'intervistatrice che perdonava Brown e lo amava, ha anche aggiunto: "Sono molto arrabbiata, io non sono una piagnona, sembrerò una debole". Tutto il contrario di quanto siti femministi e femminili le volevano insegnare, ad esclusione di Camille Paglia che la adora.

    Neppure Instagram di Mark Zuckerberg è riuscito a correggerla. Meno di un mese fa le è stato sospeso e disattivato l’account per via di alcune foto in topless, di un magazine francese “LUI”. Le regole dei social network sono particolarmente restrittive con i capezzoli. Così Rihanna ha fatto la cosa più sovversiva che una del suo calibro può fare: ha iniziato a girare con vestiti sempre più scollati e trasparenti, mostrando le sue forme. Come si fa a bannare da Facebook le migliaia di foto condivise in cui riceve un premio per lo stile, praticamente nuda? Ha di nuovo vinto lei.

    Ha vinto la consapevolezza che tutto ciò che banni continua ad esistere. La cultura del piagnisteo è perfettamente inquadrabile in quest’ottica della rimozione di tutto ciò che provoca fastidio e va allontanato. Ammesso che Hill o Bieber siano colpevoli di qualcosa, censurarli non farebbe altro che obbligarli a tacere il loro disprezzo. Semplicemente non sapremmo cosa pensano realmente. L’atteggiamento più rivoluzionario che i capezzoli di Rihanna insegnano è questo: anche se ne rimuovi i capezzoli, rimangono sempre tette.