Avremo bisogno di lui, il culo

Lanfranco Pace

La prima scintilla dell’innamoramento mi si accese al cinema Politecnico, una flaccida canaglia nazista messa a sorvegliare i traffici nelle “Acque del sud” chiede a Lauren Bacall “da dove viene, miss Browning?”, e lei con la sua voce perfidamente roca , “Brazil, Rio”, allora mi dico che un paese in cui ha potuto vivere una donna così è per forza di cose un bel paese, un posto gioioso che nell’oblio e nella sensualità cura ferite, ricostruisce vite perdute e quando le cose vanno male al più ti mette il broncio, non la terra arida di siccità del “Dio nero e del diavolo biondo”, non quella di “Antonio das Mortes” che tanto piacevano alla sinistra del mio tempo.

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La prima scintilla dell’innamoramento mi si accese al cinema Politecnico, una flaccida canaglia nazista messa a sorvegliare i traffici nelle “Acque del sud” chiede a Lauren Bacall “da dove viene, miss Browning?”, e lei con la sua voce perfidamente roca , “Brazil, Rio”, allora mi dico che un paese in cui ha potuto vivere una donna così è per forza di cose un bel paese, un posto gioioso che nell’oblio e nella sensualità cura ferite, ricostruisce vite perdute e quando le cose vanno male al più ti mette il broncio, non la terra arida di siccità del “Dio nero e del diavolo biondo”, non quella di “Antonio das Mortes” che tanto piacevano alla sinistra del mio tempo. Per l’immaginario maschile il Brasile è luogo di giochi, piroette e piaceri del corpo, nessuno ha mai pensato di piantarci guerriglie e rivoluzioni, non è mai stato il Cile insomma, persino i colpi di stato arrivavano qui attutiti, come fossero altro fascismo e gli eccidi degli squadroni della morte solo un sinistro eccesso di zelo. Vedevamo quello che volevamo vedere, il “futebol” anzitutto e i suoi funamboli. Pelé, il più grande di tutti, forse. Arthur “El Tigre” Friedenreich, un po’ meno grande ma certamente il più bello, mulatto dagli occhi verdi che morì l’anno prima del titolo del 1970 e in carriera di gol ne fece milletrecentosettantanove. Lo storto Garrincha, indio sceso di fresco da un albero nella giungla, si diceva di lui che giocasse meglio a piedi nudi e comunque stordiva ogni avversario che gli si parasse davanti con la stessa, identica finta. E poi quello stadio così grande, il più grande al mondo, il 16 luglio 1950 erano in 199. 854 per la finale dei Mondiali: il Brasile perse due a uno contro l’Uruguay di Pepe Schiaffino e Alcides Ghiggia, molti ebbero un colpo apoplettico, altri si buttarono giù dagli spalti, un popolo “a testa bassa, con le lacrime agli occhi, senza parole, lascia lo stadio come se tornasse dal funerale di un amatissimo padre, tutto l’entusiasmo dei minuti iniziali della partita ridotto a povera cenere di un fuoco spento” scrive su un popolare quotidiano sportivo José Lins do Rego. Il Maracanã che diventa Maracanazo. Moacir Barbosa Nascimento, il primo prodigioso portiere nero della storia del calcio, fu preso a capro espiatorio, lo accusarono di avere letto male la traiettoria del tiro di Ghiggia che diede la vittoria alla Celeste: è morto nel 2000 ma in mezzo secolo non è mai stato dimenticato, fino alla fine non poteva mettere piede in un supermercato senza che qualche madre in collera lo indicasse al figlio come l’uomo che aveva fatto piangere il Brasile. Anche noi abbiamo preso sberle, solo che dimentichiamo e dimenticando perdoniamo, chi si ricorda la formazione della Nazionale che nel 1966 fece ignominiosa figura con la gloriosa Repubblica popolare della Corea del nord? Per loro invece è una questione di testa e di cuore.

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Per questo li amiamo e il loro grido chilometrico e liberatorio che accompagna il gol è stato ripreso e declinato dalle radiocronache e telecronache tifose di tutto il mondo. Oggi però questo Brasile che è diventato potente, ricco e checché se ne dica sembra destinato a essere sempre più ricco e influente, ci appare banalmente normale: perché se ne sono impossessate le donne. Ne hanno fatto l’asintoto cui tende il fondoschiena dell’occidente e del nord, la ragione vera per cui si passa l’inverno a sudare e a pedalare. E’ il trionfo del perizoma, un affare sgraziato e per nulla erotico che a Napoli, dove si va sempre all’essenziale, chiamano “o filo a taglià i piriti”. E’ il trionfo del ritmo latino, del samba e delle sue scuole e se non vuoi apparire uno sciamannato ridicolo occorrono glutei armoniosi e molto, molto alti. Avere il culo flaccido è nel comportamento e nel linguaggio comuni il peggiore insulto che una donna possa fare o ricevere, averlo bello è il principale apprezzamento sessuale. Ormai non c’è spicchio di spiaggia che non si trasformi in un’allusione fasulla a Copacabana dove la specie umana sfila, beata. Ovviamente chi se lo può permettere. Invidia? Vecchio e sfasciato come sono certamente sì, ma nemmeno a venti anni sarebbe stato facile superare la prova di quei costumi sgambati che se ci hai un accenno di smagliatura ti fischiano pure dal bagnasciuga. Ecco questo Brasile che ha imposto di riflesso un canone al mondo e sovvertito di fatto la naturale gerarchia di genere, questo Brasile mi piace di meno.

Fra poco più di una settimana si tornerà a respirare aria di pallone. Andremo a infilarci a Manaus, sulla riva destra del Rio Negro appena prima che questo confluisca nel Rio delle Amazzoni, temperatura in questo periodo dell’anno fra i 25 e i 31 gradi, umidità oltre l’80 per cento. Una sauna. Affronteremo gli inglesi, che in genere corrono più di noi, hanno molti calciatori di colore e in generale sono meno anemici dei nostri. Per restare in tema, avremo bisogno di un bellissimo culo.

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  • Lanfranco Pace
  • Giornalista da tempo e per caso, crede che gli animali abbiano un'anima. Per proteggere i suoi, potrebbe anche chiedere un'ordinanza restrittiva contro Camillo Langone.