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Mariarosa Mancuso

Palude, per forza che è palude. Mancano dalla lista compilata da Franco Cordelli per la Lettura del Corriere della Sera gli scrittori che con i loro romanzi hanno allietato i nostri pomeriggi, riconciliandoci con la letteratura italiana di questi anni. Rosa Matteucci, per cominciare dalle signore: esordio strepitoso con “Lourdes”, “Cuore di mamma” celebrato da Carlo Fruttero (il signore sì che se ne intendeva, e purtroppo dalla lista manca pure lui), il bellissimo “Tutta mio padre” (c’è modo e modo di raccontare i fatti propri).

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    Palude, per forza che è palude. Mancano dalla lista compilata da Franco Cordelli per la Lettura del Corriere della Sera gli scrittori che con i loro romanzi hanno allietato i nostri pomeriggi, riconciliandoci con la letteratura italiana di questi anni. Rosa Matteucci, per cominciare dalle signore: esordio strepitoso con “Lourdes”, “Cuore di mamma” celebrato da Carlo Fruttero (il signore sì che se ne intendeva, e purtroppo dalla lista manca pure lui), il bellissimo “Tutta mio padre” (c’è modo e modo di raccontare i fatti propri). Ottavio Cappellani con i due romanzi di mafia che hanno per protagonista Lou Sciortino, e con “Sicilian Tragedi”. Non solo perché ha avuto una recensione firmata David Leavitt sul supplemento libri del New York Times: per la bravura con cui entra ed esce da Shakespeare liberandoci dal tinello casalingo.

    Manca Marco Missiroli, l’unico scrittore italiano capace di scrivere – in “Bianco”, per giunta ambientato nel sud degli Stati Uniti – senza aggettivi, seguendo il consiglio che Colette aveva dato al giovane George Simenon. Quando si mettono in burla, a buon diritto, gli aggettivi incongrui, del dettaglio bisognerebbe tenere conto. Va ricordato comunque che l’aggettivo incongruo – in un’Italia che sdegna il romanzo e in cui tutti si credono, senza averne i meriti, nipotini di Carlo Emilio Gadda – è la scorciatoia che garantisce un posto nella letteratura che conta. Se no come li spiegate un premio Strega e un premio Campiello a Margaret Mazzantini? Peraltro onorata dalle recensioni di Nadia Fusini, dopo una vita spesa a occuparsi di Virginia Woolf.

    [**Video_box_2**]Manca Andrea Tarabbia, autore di un romanzo che ne vale cento: “Un demone a Beslan” è ambientato in Cecenia, ha per protagonista l’unico guerrigliero sopravvissuto all’incursione terrorista nella scuola, il 1° settembre 2004: un miracolo di documentazione e soprattutto di scrittura (nulla è peggio dei romanzieri che hanno fatto ricerche e le spiattellano come se fossero a un esame universitario). Manca Fabio Genovesi, con “Esche vive” – quando mai avete letto in un romanzo italiano di un ragazzo che perde la mano pescando di frodo? Son tutti architetti e precari usciti dal Dams –, con il reportage dal Giro d’Italia e con “Morte dei Marmi”. Manca Antonio Pascale, con “Si è fatta ora”, “La manutenzione degli affetti” e il saggio con tocchi di autobiografia “Scienza e sentimento”.

    Le liste irritano, soprattutto chi non ne fa parte. A Franco Cordelli risponde (su corriere.it), Gilda Policastro. Rimedio peggiore del male. Poiché in Italia nessuno si assume le colpe sue, sbeffeggia un editor che le impedì di mettere il termine “rastremato” in una bandella (poi dicono che i libri non si vendono, e la colpa sarebbe dei lettori? O magari della letteratura che non conta più nulla per via della tv diseducativa?). Le ha solo reso un gran servizio, quindi eleggiamo subito “codesto pischello” – ella dixit – a nostro eroe. Altrettanto non possiamo dire di una scrittrice che cerca di impressionare sfoderando “endiadi” o “l’iperbato, questo sconosciuto”. Rastremato? Siamo sicuri – con ampia facoltà di prova – che se lo cancellassero dal dizionario i bravi romanzieri non ne sentirebbero la mancanza.

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