Chi c'è dietro a Uber, la app per auto di lusso che fa incazzare i tassisti

Redazione

“I’m a natural born trustbuster”, sono un distruttore di monopoli. Per capire meglio le motivazioni e la natura dello scontro fra i tassisti e Uber bisogna partire dalla personalità di Travis Kalanick, il giovane fondatore della start-up californiana: “Queste sono le mie idee politiche: sono un trustbuster, sono per l’efficienza e voglio la più ampia attività economica al prezzo più basso possibile. E’ un bene per tutti, non è di destra né di sinistra”. Con il suo stile da spaccone, questo ragazzo californiano di 37 anni è entrato in maniera dirompente nel mercato occupato dai taxi fondando Uber.

    “I’m a natural born trustbuster”, sono un distruttore di monopoli. Per capire meglio le motivazioni e la natura dello scontro fra i tassisti e Uber bisogna partire dalla personalità di Travis Kalanick, il giovane fondatore della start-up californiana: “Queste sono le mie idee politiche: sono un trustbuster, sono per l’efficienza e voglio la più ampia attività economica al prezzo più basso possibile. E’ un bene per tutti, non è di destra né di sinistra”. Con il suo stile da spaccone, questo ragazzo californiano di 37 anni è entrato in maniera dirompente nel mercato occupato dai taxi fondando Uber, un’applicazione che permette, premendo un bottone dello smartphone, di farsi raggiungere in pochi minuti da un’auto di lusso. Le tariffe sono prefissate e a fine corsa l’importo viene scalato dalla carta di credito, Uber che fa da intermediario trattiene il 20 per cento e l’autista il resto. La risposta dei tassisti a Uber è stata scomposta e a tratti violenta: scioperi selvaggi, aggressioni ad autisti convenzionati con Uber, auto danneggiate, passeggeri costretti a scendere. A Milano ieri lo sciopero continuava, così come lo scaricabarile tra autorità nazionali, locali e comunali su chi dovesse regolare il tema,  mentre il ministro dei Trasporti Maurizio Lupi ha parlato di “esercizio abusivo della trasmissione”. Gli stessi tassisti hanno impedito a Benedetta Arese Lucini, general manager di Uber Italia, di parlare in un incontro organizzato da Wired e in città sono comparsi manifesti offensivi con il suo volto. Ma Uber non si è fermata, anzi ha rilanciato. Con Uber Pop, un nuovo servizio che permette non solo agli autisti professionisti, ma a qualsiasi privato di registrarsi e caricare un cliente per una corsa. La decisione ha fatto imbufalire i tassisti ed è stata definita “irresponsabile” dal comune di Milano. “Non è l’applicazione con cui dovrebbero prendersela – dice al Foglio Benedetta Arese Lucini –  ma è il mercato che cambia, tutti siamo geolocalizzati attraverso gli smartphone e abbiamo nuove esigenze”. Niente vittimismo quindi per le aggressioni dei tassisti, perché stanno combattendo una battaglia di retroguardia, già sconfitta dalla storia, meglio pensare ai futuri concorrenti: “E’ la nostra filosofia, guardare avanti. Travis ci ha insegnato due cose: dare agli utenti la libertà di scelta e celebrare le città, in un mondo sempre più attento all’ambiente c’è bisogno di una mobilità condivisa e sostenibile”.

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    In realtà Travis non è stregato dalla mentalità green, la sua filosofia è quella di fare soldi. E’ un tipo che fino a poco fa aveva come foto profilo su Twitter la copertina di “The Fountainhead”, il romanzo più celebre di Ayn Rand, la filosofa-scrittrice libertaria americana, esaltatrice dell’individualismo e dell’egoismo. Macinare soldi è il motivo per cui Kalanick inizia da ragazzino a fare il venditore e l’imprenditore. Poco più che ventenne lascia l’università (Ingegneria informatica a Ucla) e fonda Scour, una start-up di file sharing simile a Napster, ma fallisce per una causa da 250 miliardi di dollari intentata dalle major discografiche. Kalanick lavora per la rivincita nel modo più capitalistico possibile, fonda Red Swoosh con il compito di vendere servizi alle aziende che gli hanno fatto causa utilizzando la stessa tecnologia di Scour, il sito che gli hanno fatto chiudere: “Volevo che mi pagassero. E’ stato un business di vendetta”. Ma le cose vanno male, non ci sono soldi, i soci e alcuni ingegneri vanno via e Travis pur di non chiudere decide di non pagare il fisco: “Avevamo un debito con l’Irs di 110 mila dollari, che è un crimine, se sei un responsabile dell’azienda vai in prigione”, racconta Kalanick. Alla fine, dopo quattro anni senza stipendio, riesce a trovare finanziatori e vende tutto per 20 milioni di dollari. Due anni dopo, nel 2009, Kalanick fonda Uber con l’amico Garrett Camp ed entra a far parte della schiera degli imprenditori rivoluzionari senza laurea come Bill Gates, Steve Jobs e Mark Zuckerberg. La leggenda sulla nascita di Uber narra che Kalanick fosse a Parigi sotto la pioggia per ore senza riuscire a trovare un taxi. “Sai che figata premere un bottone e avere un autista?”. La sperimentazione parte da San Francisco ed è un successo clamoroso che in poco tempo si diffonde in oltre 100 città in tutto il mondo, perché Uber non fa un semplice servizio taxi, ma ti scorrazza in giro su un’auto di lusso come negli Stati Uniti possono fare solo le star dello sport e dello showbiz: “Tutto quello che abbiamo fatto è renderlo più accessibile”. Più limousine per tutti, non solo all’1 per cento, è la democrazia del capitalismo. Uber rivoluziona un mercato iper-regolamentato in cui le leggi, teoricamente fatte per tutelare i consumatori, proteggono dalla concorrenza e dall’innovazione quello che Travis chiama “il cartello dei taxi”. Kalanick, che sulla pelle ha ancora le cicatrici di Scour, mal sopporta le regole che tutelano gli insider. Il suo rapporto con le leggi è questo: Uber non viola nessuna regola e se le viola allora vuol dire che sono le regole a essere sbagliate. E’ poco incline al compromesso e al lavoro di lobbying sui politici, è solo tempo perso. Uber deve operare perché è giusto e nulla potranno le proibizioni perché “alla fine il progresso e l’innovazione vincono”. Più che con Uber è con queste parole di Kalanick che devono confrontarsi i tassisti di tutto il mondo. Alcuni negli Stati Uniti l’hanno già fatto elaborando app simili per i “taxi gialli”, altri hanno utilizzato la filosofia di Kalanick quando ha fondato Red Swoosh, sono andati a lavorare per Uber e ora dicono di guadagnare di più.