Gli ordigni visti da vicino

Il Foglio trova in Siria le prove degli attacchi al cloro del regime di Assad

Daniele Raineri

Premessa. La notte del 21 agosto 2013 più di millequattrocento persone sono state uccise da un attacco chimico con il gas nervino sarin sulla periferia di Damasco. Davanti alla minaccia di un intervento militare americano – che il segretario di stato, John Kerry, definì quasi scusandosi “incredibilmente piccolo” – il governo del presidente siriano Bashar el Assad acconsentì a consegnare il suo arsenale di armi chimiche (destinato a una laboriosa distruzione a cura della comunità internazionale) e a firmare l’ingresso della Siria nella Convenzione sulle armi chimiche.

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Guarda le foto esclusive di Daniele Raineri scattate a Idlib.

    Premessa. La notte del 21 agosto 2013 più di millequattrocento persone sono state uccise da un attacco chimico con il gas nervino sarin sulla periferia di Damasco. Davanti alla minaccia di un intervento militare americano – che il segretario di stato, John Kerry, definì quasi scusandosi “incredibilmente piccolo” – il governo del presidente siriano Bashar el Assad acconsentì a consegnare il suo arsenale di armi chimiche (destinato a una laboriosa distruzione a cura della comunità internazionale) e a firmare l’ingresso della Siria nella Convenzione sulle armi chimiche. Assad temeva che un intervento americano anche minimo avrebbe fatto pendere l’equilibrio della guerra a favore dei ribelli, che lo combattono appena fuori dalla capitale. Era il 26 settembre 2013. Gli attacchi chimici cominciati quasi di nascosto nel febbraio 2013 e culminati nella strage di agosto sembrarono una fase archiviata.

    Lunedì 5 maggio alcuni contatti siriani hanno portato l’inviato del Foglio a Kfar Zeita, una piccola città nel governatorato di Hama, in Siria, che da settimane è l’area più colpita da un nuovo tipo di guerra chimica. Su Kfar Zeita gli elicotteri del governo gettano una variante dei barili esplosivi (ormai un’arma simbolo della controrivoluzione siriana) che contiene sostanze tossiche industriali come cloro e ammoniaca. Sono attacchi chimici depotenziati rispetto all’agosto scorso: l’effetto dell’esplosione al suolo è una nube tossica giallognola assai meno letale del gas nervino e più densa dell’aria, che si allarga ma non verso l’alto e punisce i civili esposti con un principio di soffocamento e in alcuni casi con la morte. I soggetti più a rischio sono i bambini. La Convenzione sulle armi chimiche non include il cloro e l’ammoniaca tra le sostanze vietate, ma all’articolo due stabilisce chiaramente che qualsiasi sostanza quando è usata per uccidere o nuocere è da considerarsi arma chimica.

    “I love you”. Per arrivare alla città più bombardata con il cloro si fa affidamento su una rete di ribelli siriani su cui è meglio non dare troppi particolari per motivi di sicurezza perché molti di loro hanno famiglie in zone controllate dal governo. Al volante c’è un veterano che con una mano fuma senza interruzione, con l’altra offre dal suo pacchetto di sigarette, con l’altra ancora beve Nescafé e con un’altra ancora non si stacca mai da una radio che trasmette gli aggiornamenti sugli spostamenti dell’esercito e sulle operazioni degli aerei e degli elicotteri. I siriani sono un popolo con una vocazione internazionale e molti parlano in inglese meglio di noi: lui no. Però quando le cose vanno bene e il viaggio in macchina prende il verso giusto scoppia in clamorosi “I love you”.

    Kfar Zeita è posata sulla piana di Hama, quindi fa parte di un reticolo piatto di strade e di villaggi tagliato in modo disordinato dai posti di blocco dei gruppi armati della rivoluzione e, verso sud, del regime. Si tratta di una zona contesa e quindi tutto è in movimento. Le posizioni di ieri potrebbero non essere più le stesse di oggi. Ci sono resoconti pessimisti: “Un mio amico dice che non riescono nemmeno a recuperare i cadaveri da due settimane, giacciono in mezzo alle strade, troppo intenso il fuoco dei soldati”. Il veterano guida ascoltando gli aggiornamenti, si ferma a chiedere informazioni, procede come se fosse impegnato in una partita a scacchi: se bombardano lì allora passiamo di là, e se da questa direzione non possiamo arrivare perché hanno chiuso allora proviamo da quest’altra parte. E’ il solo sopravvissuto di molti fratelli uccisi dai bombardamenti negli ultimi due anni, non fa parte di un gruppo islamista, ha un buonumore febbrile che a volte si trasforma in attimi di concentrazione assoluta che è meglio non interrompere. Quando arriva a una decina di chilometri dall’obiettivo carica a bordo un anziano in camicione verde che sul ciglio della strada stava chiedendo il favore di un passaggio agli automobilisti. E’ del posto, conosce il percorso più intelligente tra i posti di blocco, ha una bella faccia normale e ha la fiducia della gente locale, gente che a sua volta potrebbe aprire contatti con altra gente locale. Inoltre se una macchina non viaggia oltre il pieno carico teorico attira l’attenzione, spostarsi  senza essere in eccesso è considerata una frivolezza da tempo di pace. E’ arruolato all’istante nell’operazione. Strizzata d’occhio. “I love you”.

    Kfar Zeita è dietro un dosso largo e quasi inesistente, pochi metri di strada che salgono nel verde e la coprono alla vista prima di ridiscendere, ma la sua presenza è annunciata in anticipo dal suono secco di un bombardamento. Conviene aspettare in sosta davanti alla prima linea di case, dove i possibili bersagli si fanno così radi da essere ancora poco interessanti agli occhi di un pilota del governo che vola alto per non essere colpito da terra. Un Mig sta colpendo il centro città, fa un secondo sorvolo, il fumo si alza dietro alla sagoma di edifici lontani. Il tempo è terso e spietato, l’ideale per gli aviatori, si capisce l’ossessione dei gruppi ribelli per le armi antiaeree, le uniche in grado di rovesciare la situazione. I passaggi del Mig sono finiti, il rumore s’allontana e quindi è il momento di entrare per la stessa ragione per cui se un fulmine incenerisce il nostro vicino allora possiamo tirare un sospiro di sollievo statistico: non dovrebbe toccare a noi.
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    Per Kfar Zeita si dovrebbe rispolverare l’idea cinematografica di “ghost town”. Non c’è nessuno in strada, edifici malconci ovunque, zero auto. Cercare le prove di un bombardamento chimico in mezzo a un posto crivellato dalle bombe convenzionali suona non del tutto legittimo. In occidente abbiamo eletto le armi chimiche a feticcio massimo dell’orrore provocato dalla repressione militare di Assad sui siriani, e quindi da noi l’uso delle bombe al cloro e all’ammoniaca ha forse ancora il potere di suscitare una reazione, ma loro, gli abitanti di Kfar Zeita, vanno avanti in un paesaggio devastato da efficientissimi ordigni normali. Il lato incredibile di questa faccenda delle armi chimiche e della loro suggestione è che anche il regime invece che tenersene lontano le ha elette a simbolo della propria capacità di punire le aree che sfuggono al suo controllo militare. Insiste. Dalla strage di agosto, ci sono stati almeno altri trenta attacchi chimici rudimentali, con almeno trenta morti. Gli assadisti potrebbero svolgere la loro opera di repressione con i soliti mezzi. Invece, orfani dell’arsenale tossico che stanno consegnando a rate, in ritardo e di malavoglia alla comunità internazionale, si sono ingegnati a costruire queste nuove bombe capaci di sprigionare nubi tossiche, che secondo loro possono sfuggire al radar dell’indignazione internazionale e allo stesso tempo di incutere terrore nazionale. Ci dev’essere una fascinazione a Damasco per le armi chimiche. Probabilmente ha a che fare con il fatto che la base del presidente Assad – la stessa che chiama invariabilmente  i ribelli “ratti” – lo ha rimproverato aspramente per l’accordo sulla consegna delle armi chimiche di settembre. Il presidente doveva rifiutarsi di cedere alla pressione internazionale e tenersele, per fare paura ai “ratti”.

    Una nota: l’arsenale non è stato consegnato ancora del tutto, manca il dieci per cento più pericoloso, il gas nervino usato ad agosto. Secondo alcuni osservatori e diplomatici internazionali citati da Reuters, c’è il sospetto che Assad stia tenendo per sé una parte dell’arsenale, forse nemmeno dichiarata nell’inventario presentato a settembre, come arma di ultima istanza contro i ribelli.

    Dentro Kfar Zeita una parte della gente del posto capisce il senso della visita: scattare fotografie delle bombe che contenevano il cloro, trovare una prova – una possibile prova – che aiuti a dimostrare che il governo sta violando la Convenzione sulle armi chimiche firmata sotto la minaccia di un intervento internazionale. In generale però un gigantesco: e se anche fosse? pende sulle teste della gente della città. Apprezzano lo sforzo di documentare, ma domani ci sarà un altro bombardamento, forse oggi stesso, cosa cambia se anche filtrerà all’esterno la prova che il governo li sta colpendo senza fare distinzioni? Perché, non lo avevamo ancora capito? I resti delle bombe al cloro sono stati trascinati via dai siti d’impatto per il timore dei loro effetti tossici a lungo termine, ma non sono conservati come prove d’accusa con il potenziale di inchiodare Assad.

    Molti ordigni al cloro esplosi sono stati sepolti e resi innocui nel mezzo del campo di calcio all’ingresso di Kfar Zeita. Altri invece giacciono all’aperto, a pochi minuti d’automobile, appena fuori dalla città. Sembra un piccolo cimitero di bombe al cloro, senza nessun custode, come una discarica di oggetti di metallo. Per fare un lavoro perfettamente accurato ci sarebbe anche da visitare e geolocalizzare i siti d’impatto e intervistare i dottori e i sopravvissuti (ci ha appena pensato il giornale tedesco Spiegel), ma c’è poco tempo. Le bombe appaiono molto ossidate per effetto del cloro, ma non sono disintegrate dallo scoppio: la deflagrazione è intenzionalmente ridotta al minimo, per non bruciare e quindi per non rendere inerte il contenuto tossico. Per questo, alcune bombe hanno l’aspetto di baccelli aperti. La stampigliatura con il simbolo chimico del cloro, CL2, è visibile.

    Una terza bomba al cloro è in un altro sito all’aperto a due minuti di guida. Considerati il peso, le dimensioni e le condizioni, è chiaro che sono state sganciate da elicotteri. Il che conferma le testimonianze degli abitanti del posto, e anche degli altri posti colpiti con le nubi al cloro e all’ammoniaca. Gli ordigni non possono essere stati lanciati con razzi o altri mezzi in dotazione ai gruppi armati dell’opposizione: l’unico ad avere gli elicotteri in Siria e a controllare il cielo con i jet è Assad (il governo però sostiene questa versione: le armi al cloro sono state fatte esplodere dai ribelli – contro aree controllate dai ribelli). Appena si finisce con le fotografie, si lascia la città. Un’ora dopo l’arrivo, la radio dice che è in corso un altro bombardamento. “I love you!”.

    Eliot Higgins, un esperto di munizioni utilizzate nella guerra siriana, ha analizzato le immagini scattate a Kfar Zeita e dice al Foglio che questa nuova guerra chimica a bassa intensità non è stata improvvisata ma è pianificata con cura. “La cosa veramente interessante nelle fotografie è che una sbarra di metallo è stata montata all’interno di una bomba, con due bulloni metallici di grandi dimensioni collegati al cilindro esterno”, dice Higgins, che su internet è più conosciuto con lo pseudonimo Brown Moses. “La sbarra è presente anche in un’altra bomba usata su Telmens [un’altra area colpita da bombe a cloro], e sembra essere una modifica per tenere la bombola lontano dal fronte del barile bomba in modo che non si pianti nel terreno all’impatto, cosa che impedirebbe il rilascio di gas. Inoltre c’è una fessura di sfiato tagliata su un lato della bomba accanto alla sbarra metallica per consentire la fuoriuscita del gas al momento dell’impatto. E’ chiaro che ci hanno pensato mentre costruivano queste bombe, non hanno semplicemente  attaccato una bombola di cloro a un barile bomba”.

    Dopo che le foto sono state caricate su Twitter, il Foglio è stato contattato da Human Rights Watch, l’organizzazione che investiga sulle violazioni dei diritti umani nelle aree di crisi, e dall’Opcw, l’Organizzazione per la protezione dalle armi chimiche che l’anno scorso ha preso il premio Nobel per la Pace. Human Rights Watch ha inserito le foto come prove in un report uscito ieri (vedi box in questa pagina). La missione dell’Opcw che a Damasco sta investigando (anche) sulle bombe al cloro ha chiesto informazioni e dettagli. La risposta è stata che il modo migliore per raccogliere prove è una rapida visita a Kfar Zeita o nelle altre zone colpite, ma il rappresentante dell’Opcw ha ammesso la completa impotenza: “Semplicemente non possiamo farlo, qualsiasi nostro spostamento deve essere coordinato in anticipo con il governo siriano”. Una fonte vicina alla missione Opcw di Damasco dice al Foglio: “E’ impossibile per loro investigare restando sul territorio controllato da Assad”. Kfar Zeita è un raro caso di scena del crimine dove gli investigatori possono accedere soltanto con il permesso del sospettato numero uno.

    Il giorno dopo la sortita a Kfar Zeita il veterano si avvicina, dice che al mattino c’è stato un altro bombardamento aereo convenzionale sulla città, sono morti in sette. L’ultima notizia di attacchi con bombe al cloro in quell’area risale a due giorni fa.

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    Guarda le foto esclusive di Daniele Raineri scattate a Idlib.

    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)