I segreti di Alibaba

Redazione

Alibaba sarà il più lucroso affare tecnologico di tutti i tempi. Alibaba spalancherà agli investitori occidentali (anche quelli piccoli, che si ritroveranno le azioni sparse nei loro fondi pensione) le porte dello sterminato mercato dell’internet cinese. Alibaba sarà il salvatore da Hangzhou che impedirà alla bolla del tech di scoppiare di nuovo. Con l’industria del tech, gli investitori sono abituati a prendersi dei rischi. Una parte consistente delle Ipo, degli esordi in Borsa miliardari della Silicon Valley, è basata sulle mere potenzialità di aziende che non hanno mai fatto un dollaro di utili – e che spesso non hanno nemmeno un’idea precisa su come farli.

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    Alibaba sarà il più lucroso affare tecnologico di tutti i tempi. Alibaba spalancherà agli investitori occidentali (anche quelli piccoli, che si ritroveranno le azioni sparse nei loro fondi pensione) le porte dello sterminato mercato dell’internet cinese. Alibaba sarà il salvatore da Hangzhou che impedirà alla bolla del tech di scoppiare di nuovo. Con l’industria del tech, gli investitori sono abituati a prendersi dei rischi. Una parte consistente delle Ipo, degli esordi in Borsa miliardari della Silicon Valley, è basata sulle mere potenzialità di aziende che non hanno mai fatto un dollaro di utili – e che spesso non hanno nemmeno un’idea precisa su come farli. Con Alibaba la questione è diversa, questa volta gli utili ci sono, e ci sono aspettative di crescita infinite. Per conquistare un pezzettino del sogno cinese dell’eclettico Jack Ma gli investitori sono pronti a fare di tutto, pagheranno le azioni qualunque cifra (chi non l’ha fatto, tra i finanziatori della Silicon Valley?), e affronteranno qualsiasi rischio – anche quello di esporsi ai capricci del regime cinese, anche quello di affidare i loro patrimoni a un’azienda che in occidente nessuno conosce davvero.

    La Cina è il primo problema. E’ impossibile dire se Pechino prenderà bene il successo in America di uno dei suoi giganti tecnologici, ed è Alibaba per prima, nella documentazione presentata a Wall Street, ad ammettere che è difficile “interpretare” le volontà del governo cinese – come a dire: siamo in balìa della burocrazia comunista.  Il governo non possiede quote dell’azienda, ma la gran parte del suo business è in Cina, e Pechino ha infiniti metodi per mettere in ginocchio un’azienda sgradita, dall’appello al boicottaggio in tv (è successo a molte aziende straniere come Apple) fino al ritiro di licenze e permessi. Alibaba ha già ricevuto molti avvertimenti, l’ultimo il mese scorso, quando il governo le ha bocciato un sistema di carte di credito virtuali che la metteva in competizione eccessiva con il sistema bancario. L’esordio in Borsa pone nuovi problemi. Il fatto è che nessuno, nemmeno Alibaba, può dire se la sua quotazione a New York è legale. La legge cinese vieta gli investimenti stranieri in alcuni settori, tra cui quello della tecnologia e quello delle telecomunicazioni, e per quotarsi Alibaba usa un meccanismo rodato che si chiama Vie, variable interest entity. Quando l’azienda si quoterà in Borsa, gli investitori non compreranno le azioni di Alibaba, ma quelle di una sua affiliata con sede alle Cayman.

    [**Video_box_2**]La Alibaba delle Cayman ha diritto per contratto ai profitti della Alibaba cinese, ma non ha voce in capitolo sulla sua governance. Questo significa che gli investitori stranieri di Alibaba diventeranno dei proprietari a metà, raccoglieranno i dividendi ma non potranno fiatare sulle strategie dell’azienda. A mantenere il controllo sugli asset della Alibaba cinese resteranno il fondatore Jack Ma e un pugno di altri membri del board, tra cui il cofondatore Simon Xie – sempre che il governo non decida che l’escamotage per evitare i divieti cinesi è illegale: è già successo in almeno un caso. Dalla quotazione in Borsa Alibaba uscirà più ricca (di circa 200 miliardi di dollari) e Jack Ma uscirà più potente: “Gli investitori americani saranno alla sua mercé”, scrive il giurista Steven Davidoff sul blog Dealbook del New York Times, c’è il rischio che il fondatore scolleghi l’Alibaba cinese dalla sua affiliata alle Cayman, e lasci gli investitori con un pugno di mosche. Ci sono dei precedenti, e Jack Ma ha già dimostrato di non volere rivali nella gestione dell’azienda, quando nel 2011 ha inaugurato grandi movimenti societari (lo spostamento di Alipay in un’azienda di sua proprietà) senza consultare i suoi investitori stranieri, tra cui Yahoo, che di Alibaba possiede il 22,6 per cento.

    Il gigante tecnologico che fa salivare gli investitori internazionali ha anche una struttura societaria oscura, più segreta della burocrazia del Partito comunista cinese, scrive il sito Quarz. Ai suoi vertici c’è un collegio di 28 persone, la “Lakeside partnership” (dal nome dell’appartamento minuscolo di Jack Ma, che fu la prima sede dell’azienda), i cui membri sono tutti anonimi. Sono anonimi anche i membri della maggior parte delle commissioni esecutive, e l’unico volto davvero pubblico di Alibaba sembra essere il solo Jack Ma, insieme al gruppo detto dei 18 fondatori. Jack Ma e i suoi partner semi anonimi hanno governato Alibaba in autonomia in questi anni, e si sono attrezzati per poter continuare a farlo, benché gran parte dell’azienda sia già in mano a investitori stranieri. Uno di questi, l’americana Yahoo, rilascerà circa metà delle sue quote durante la quotazione, e questo potrebbe cambiare gli equilibri dentro la Silicon Valley. L’altro è un investitore giapponese, il gigante delle telecomunicazioni Softbank, che possiede il 34 per cento dell’azienda e che anche dopo la Ipo resterà il maggiore azionista. In Cina sono in pochi a sapere che l’orgoglio tecnologico del paese è per un terzo posseduto dai giapponesi. In un momento di tensioni geopolitiche e boicottaggi incrociati, potrebbe essere un altro fattore di rischio.

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