Daspo per Alfano

Redazione

"Non vi è stata alcuna trattativa”, ha scandito il ministro dell’Interno Angelino Alfano ieri, nell’informativa urgente alla Camera a proposito degli incidenti di sabato scorso prima della finale di Coppa Italia. “Sono rimasto indignato per i tentativi di strumentalizzazione dei fatti accaduti”, ha continuato. Sul tentativo beota di costruire il castello di carte della trattativa stadio-mafia siamo d’accordo, su queste pagine già se n’è scritto. Ma ci sono dei però, che riguardano il lavoro del ministro dell’Interno e la sua altalenante performance nella gestione della sicurezza.

    "Non vi è stata alcuna trattativa”, ha scandito il ministro dell’Interno Angelino Alfano ieri, nell’informativa urgente alla Camera a proposito degli incidenti di sabato scorso prima della finale di Coppa Italia. “Sono rimasto indignato per i tentativi di strumentalizzazione dei fatti accaduti”, ha continuato. Sul tentativo beota di costruire il castello di carte della trattativa stadio-mafia siamo d’accordo, su queste pagine già se n’è scritto. Ma ci sono dei però, che riguardano il lavoro del ministro dell’Interno e la sua altalenante performance nella gestione della sicurezza. Certo non si possono addebitare ad Alfano le incertezze delle indagini, tra procura e questura: è stato davvero Gastone, l’ultrà giallorosso, a sparare? Chissà. Il problema è però d’ordine più generale o politico che dir si voglia. Comminare un Daspo di cinque anni a Gennaro De Tommaso – l’ormai celebre Genny ’a carogna, a quel che sembra di capire l’uomo che concretamente ha evitato un disastro di ordine pubblico all’Olimpico – per aver indossato una (per carità, odiosa) maglietta con scritto “Speziale libero” appare una decisione dettata più da emotività populista, o scarsa consapevolezza delle regole, che da una logica d’intervento seria. Così come paiono solo slogan certe frasi sulla trasformazione per via poliziottesca del pianeta calcio in un’isola felice. Per i famigliari dell’agente Raciti ucciso secondo la verità processuale (ora per altro rimessa in discussione da un nuovo processo) dall’ultrà catanese Speziale, la maglietta di Genny ’a carogna è certo dolorosa e può essere vissuta come un insulto. Ma non è un reato, né un’apologia di reato. Sostenere una richiesta di libertà per un detenuto condannato, pure fosse colpevole, non può essere oggetto di un Daspo del Viminale. Bisogna saperlo.

    [**Video_box_2**]Ma l’Olimpico è solo una delle emergenze in cui Alfano mostra un profilo di ministro dell’Interno impreciso, che si affida un po’ troppo all’estro della dichiarazione. Così si è deteriorato nel tempo un rapporto nervoso con le forze dell’ordine, che frasi come quella del capo della polizia dopo gli scontri di Roma, “il poliziotto che ha calpestato la ragazza a terra? Un cretino da identificare”, non corretta da Alfano, non hanno contribuito a rasserenare. Poi ci sono stati gli applausi degli agenti del Sap sulla vicenda Aldrovandi: sono stati giustamente redarguiti. Ma ora sono gli stessi agenti (e pure il Consap) che dichiarano polemici: “Il vero ‘cretino’ si trovava allo stadio Olimpico, indossava una maglietta inneggiante all’assassino di un poliziotto… Non si parla con chi inneggia a un omicida”. Ancora una volta le scelte (correttamente rivendicate) dai responsabili dell’ordine pubblico cozzano con la percezione degli agenti di essere alternativamente usati e vilipesi dai propri stessi referenti di governo. In precedenza, la disastrosa gestione del caso Shalabajeva, con la responsabilità scaricata interamente da Alfano sulla catena di comando del Viminale, aveva intaccato il prestigio e il potere di controllo sulla sua struttura di un ministro da sempre giudicato troppo lontano dalla cabina di regia. Le debolezze che si sommano non aiutano nessuno.