Così il Fondo monetario è costretto a scervellarsi sui debiti pubblici europei

Domenico Lombardi

A partire da questa settimana, anche la Deutsche Bank promuoverà presso gli investitori emissioni di obbligazioni ibride (cosiddetti “Coco bonds”, abbreviazione di “Contingent convertible bonds”), sulla scorta di altre grandi banche europee come Barclays, Crédit Agricole, Credit Suisse e Santander. Le obbligazioni in questione hanno caratteristiche intermedie tra i titoli di debito e le azioni: se la dotazione patrimoniale della banca emittente si riduce in seguito all’abbattimento del valore di determinate attività, tali titoli vengono convertiti in azioni per assorbire perdite in conto capitale così da ripristinare, per quanto possibile, l’adeguatezza del patrimonio sulla base dei requisiti imposti dalla Vigilanza.

    A partire da questa settimana, anche la Deutsche Bank promuoverà presso gli investitori emissioni di obbligazioni ibride (cosiddetti “Coco bonds”, abbreviazione di “Contingent convertible bonds”), sulla scorta di altre grandi banche europee come Barclays, Crédit Agricole, Credit Suisse e Santander. Le obbligazioni in questione hanno caratteristiche intermedie tra i titoli di debito e le azioni: se la dotazione patrimoniale della banca emittente si riduce in seguito all’abbattimento del valore di determinate attività, tali titoli vengono convertiti in azioni per assorbire perdite in conto capitale così da ripristinare, per quanto possibile, l’adeguatezza del patrimonio sulla base dei requisiti imposti dalla Vigilanza.

    Si tratta di un mercato che alcuni analisti stimano possa raggiungere, a regime, la dimensione di 250 miliardi di euro. Solo nell’anno in corso, le emissioni dovrebbero aggirarsi oltre i 50 miliardi. Prova ne è che le agenzie di rating che sinora aveva snobbato questo crescente segmento di attività, come la statunitense Moody’s, si stanno rapidamente attrezzando per presidiarne i promettenti sviluppi.

    Sono molteplici le forze che sospingono questo nuovo, potenzialmente importante comparto. Rispetto alle azioni, le obbligazioni ibride tendono a essere più convenienti per la banca emittente in termini del minor rendimento che è chiamata a offrire. Allo stesso tempo, per l’investitore in cerca di rendimenti più elevati in un mercato dominato da politiche monetarie iperespansive che appiattiscono i rendimenti obbligazionari, si tratta di titoli con cedola pur sempre di maggior peso.

    Nell’Eurozona, i risultati ancora incerti legati alla Asset quality review (Aqr) portata avanti dalla Banca centrale europea nell’ambito del progetto sull’Unione bancaria spingono le banche a rafforzare le proprie dotazioni patrimoniali secondo modalità e preferenze compatibili con l’orientamento del mercato. Soprattutto, le obbligazioni ibride rappresentano la risposta di mercato al principio sottostante l’Unione bancaria di coinvolgere i creditori nel ripianamento di perdite patrimoniali prima di qualsiasi intervento pubblico nazionale o regionale.

    Dall’altro lato dell’Atlantico, il medesimo principio alimenta il lavoro del Fondo monetario internazionale (Fmi). Aspramente criticato dai suoi azionisti extraeuropei per i generosi pacchetti finanziari forniti alle economie periferiche dell’Eurozona, gli economisti che collaborano con il direttore esecutivo Christine Lagarde stanno lavorando a un’ipotesi che intendono mettere al vaglio del consiglio di amministrazione il mese prossimo.

    [**Video_box_2**]Questo il ragionamento degli esperti dell’istituzione di Washington: l’attuale configurazione dell’architettura internazionale andrebbe migliorata perché si basa su un eccessivo intervento del settore pubblico internazionale che, con massicci programmi di finanziamento a un paese in crisi, si pone in contropartita del settore privato assorbendone impropriamente i rischi a carico del contribuente internazionale. Questo è esattamente ciò che è accaduto nell’Eurozona quando la Troika (Fmi, Commissione europea e Banca centrale europea) ha assunto su di sé le passività della periferia che le banche europee avevano negli anni addietro classificato nei propri portafogli profittando di un differenziale di rendimento favorevole a cui avrebbe dovuto corrispondere, tuttavia, un migliore apprezzamento del rischio di credito.

    Nell’orientamento che circola adesso a Pennsylvania Avenue, ancora in via di definizione, gli interventi del Fmi dovrebbero essere condizionati a una moratoria nei pagamenti internazionali del paese sotto stress per la durata dell’accordo con il Fmi medesimo. Se il debito fosse, poi, a livelli palesemente insostenibili – vedi la Grecia il cui rapporto tra debito pubblico e pil è, oggi, al 175 per cento – naturalmente si dovrà procedere, più che a una moratoria, a una vera e propria ristrutturazione del debito constestualmente all’intervento multilaterale.

    Studio premonitore della Bank of England - E’ interessante che l’approccio in parola, se riuscisse a prevalere sulle resistenze europee che già stanno montando, presenti singolari analogie con uno studio finalizzato di recente da due Banche centrali del G7, la Banca del Canada e la Banca d’Inghilterra. In questo studio, che è aperto da una prefazione dei rispettivi vicegovernatori, gli autori propongono l’introduzione di obbligazioni sovrane ibride simili ai “Coco bonds” bancari di cui sopra. La particolarità di questi nuovi titoli del debito pubblico sarà di prevedere una moratoria nell’ammortamento del valore capitale dell’obbligazione non appena l’emittente sovrano riceva un programma di finanziamento internazionale o regionale.

    I benefici di un tale approccio sarebbero molteplici. Tanto per cominciare, la dimensione dei programmi di salvataggio verrebbe ridimensionata considerevolmente poiché il settore pubblico internazionale non finanzierebbe i pagamenti in conto capitale, ma solo quelli in conto interessi, del debitore sovrano: nel caso della Grecia, per esempio, i programmi di assistenza sarebbero stati di 45 miliardi e non di 110, stimano gli autori della proposta. Soprattutto, si eviterebbe il passaggio di mano dal settore privato a quello pubblico, ridimensionando il rischio e il costo a carico del contribuente regionale o internazionale. Non è un caso che nei recenti incontri ministeriali del G24, il gruppo che raccoglie i paesi emergenti e in via di sviluppo, il tema della ristrutturazione del debito sovrano è apparso ufficialmente nel comunicato finale.