L'America non sa risolvere l'“enigma russo” e sceglie di isolarlo

Luigi De Biase

A metà dell’Ottocento lo storico tedesco Bruno Bauer parlava del popolo russo come di una sfinge posta di fronte all’Europa, occhi mostruosi e zampa leonina già pronta a colpire. A giudicare dagli ultimi movimenti dei governi europei, si direbbe che la versione Bauer sia tornata di grande attualità: isolare, ignorare, punire la Russia per il suo atteggiamento nella crisi in Ucraina sono le parole che si sentono più spesso nei resoconti della diplomazia. Il presidente americano, Barack Obama, spinge verso le sanzioni economiche, uno strumento di guerra.

    A metà dell’Ottocento lo storico tedesco Bruno Bauer parlava del popolo russo come di una sfinge posta di fronte all’Europa, occhi mostruosi e zampa leonina già pronta a colpire. A giudicare dagli ultimi movimenti dei governi europei, si direbbe che la versione Bauer sia tornata di grande attualità: isolare, ignorare, punire la Russia per il suo atteggiamento nella crisi in Ucraina sono le parole che si sentono più spesso nei resoconti della diplomazia. Il presidente americano, Barack Obama, spinge verso le sanzioni economiche, uno strumento di guerra. Gli Stati Uniti le hanno usate per fermare il programma atomico in Iran, per colpire il regime siriano o per isolare la Corea del nord, il dipartimento del Tesoro ha bloccato in questo modo i canali che finanziavano al Qaida e Osama bin Laden, decine e decine di milizie islamiche dall’Indonesia al medio oriente e gruppi paramilitari nell’America del sud. In molti casi il lavoro s’è rivelato più efficace rispetto ad azioni militari sul terreno, ma oggi l’opinionista russo Dmitri Trenin si chiede se il metodo usato contro i narcos o la famiglia Bin Laden sia quello migliore per affrontare una crisi con la Russia e con il suo presidente, Vladimir Putin. La risposta è secca: le misure approvate dalla Casa Bianca non convinceranno il capo del Cremlino a cambiare posizione ed è ancora meno probabile che dividano Putin e i suoi consiglieri; la maggior parte dei russi avrà un motivo in più per sostenere il governo di fronte alle pressioni americane, anziché chiedere riforme; e l’opposizione, già debole, scivolerà ai margini della scena politica ancor più di quanto avvenga ora. Obama ha scelto il modo più sbrigativo e meno costoso per rispondere all’emergenza in Ucraina, sostiene Trenin, e lo ha fatto nel momento di minore interesse per gli affari dell’Europa. In effetti la lista delle sanzioni sembra uscita da un’inchiesta del Guardian: nell’elenco ci sono Igor Sechin, ex agente dei servizi segreti e capo del colosso petrolifero Rosneft; Gennady Tymchenko, legato al Cremlino e a Gunvor; Dmitri Rogozin, politico conservatore e vicepremier, già ambasciatore alla Nato; Vyacheslav Surkov, di origini cecene, consigliere di Putin e appassionato di musica rap. Le sanzioni hanno colpito persino un giornalista, Dmitri Kiselov, volto del canale Rossiya24 e direttore del network Rossiya Segodnya: il suo nome e gli altri nell’elenco si leggono spesso sui quotidiani inglesi quando si parla di intrighi al Cremlino, ma non è chiaro quale sia il peso di questi uomini negli eventi che hanno portato all’annessione della Crimea o in quelli, più recenti, che riguardano l’Ucraina orientale.

    [**Video_box_2**]Dietro le sanzioni resta un vuoto strategico evidente: nessuno cerca di risolvere il “problema Russia” – si chiamava già così ai tempi di Bruno Bauer – ovvero l’integrazione del paese dentro i meccanismi della comunità internazionale. Negli ultimi anni i governi dell’Unione europea hanno inteso i loro rapporti con Mosca soprattutto in chiave economica, con Gerhard Schröder la Germania ha trasformato la sua “ostpolitik” in una diplomazia d’affari che ha portato molti vantaggi al paese in termini di export e poco o nulla sul fronte delle relazioni politiche. Il Cremlino ha mostrato più volte interesse verso la nascita di una nuova architettura europea, soprattutto nel settore della Difesa, ma l’Ue non ha mai accettato di discutere davvero la proposta. L’unico tentativo serio di risolvere il “problema Russia” resta quello portato a termine nel 2002, con il vertice Nato di Pratica di Mare, che ha segnato formalmente la fine della Guerra fredda e l’inizio della collaborazione fra i due blocchi. Quel patto storico ha fornito buoni risultati nella lotta al terrorismo internazionale, ma ha anche modellato la politica estera italiana per un decennio – dal governo Berlusconi, che ha svolto con successo la mediazione fra il Cremlino e la Casa Bianca, passando per i successivi di centrosinistra (e secondo Reuters Gazprom abbandonerà il progetto della costruzione di un ramo del suo oleodotto South Stream fino in Italia). La Russia non si può isolare, né tantomeno ignorare. Si può punire, ma non è detto che l’operazione porti buoni risultati. All’Unione europea serve un’intesa chiara e complessiva con il Cremlino per risolvere la crisi in Ucraina e impedire che una situazione simile si ripeta altrove, un accordo che vada oltre gli scambi commerciali e le questioni contingenti, e tenga conto degli interessi russi. Come diceva Bruno Bauer: “L’Europa ha il compito di interpretare l’enigma. Risponda alla domanda e sarà salva – ma cessi di cimentarsi con il problema, aspetti che la risposta venga da sola o la affidi al caso, ed eccola preda della sfinge che la piegherà con ferrea forza”.