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I social media salveranno i libri? A vedere certe iniziative, c'è da dubitare

Simonetta Sciandivasci

Insieme allo scontrino vi danno un altro libro. “Questo è un regalo da parte del cliente prima di lei”, vi dicono. Cinquecento pagine di narrativa dravidica, testo originale a fronte, edito da una cooperativa universitaria di boh. Siete contenti, vero? Lo cercavate da almeno 15 anni, giusto? O il destino ha scoperto che preferite Striscia la Notizia a Che tempo che fa e adesso vi punisce? No. Non avete fatto qualcosa di male: nessuno ce l’ha con voi. Semplicemente, adesso si usa così. E’ la nuova trovata del fronte per la salvezza della letteratura, si chiama “libro sospeso” ed è la letterarizzazione del caffè sospeso (hai avuto una buona giornata, allora entri in un bar e paghi 2 caffè: il tuo e quello del cliente che verrà dopo), uno dei riti benaugurali più vintage e commoventi di Napoli.

    Mettiamo che sia domenica. Uscite per fare una cosa di cultura: andare in libreria. Una di quelle piccole e antiche, col proprietario che puzza di gatto. Lì, una musica da filodiffusione di Radio3 zittisce la vocina che vi sussurra: “su Amazon costa il 20% in meno!” e pagate. Eroici.

    Insieme allo scontrino vi danno un altro libro. “Questo è un regalo da parte del cliente prima di lei”, vi dicono. Cinquecento pagine di narrativa dravidica, testo originale a fronte, edito da una cooperativa universitaria di boh. Siete contenti, vero? Lo cercavate da almeno 15 anni, giusto? O il destino ha scoperto che preferite "Striscia la Notizia" a "Che tempo che fa" e adesso vi punisce? No. Non avete fatto qualcosa di male: nessuno ce l’ha con voi. Semplicemente, adesso si usa così. E’ la nuova trovata del fronte per la salvezza della letteratura, si chiama “libro sospeso” ed è la letterarizzazione del caffè sospeso (hai avuto una buona giornata, allora entri in un bar e paghi 2 caffè: il tuo e quello del cliente che verrà dopo), uno dei riti benaugurali più vintage e commoventi di Napoli.

    L’idea è stata lanciata qualche settimana fa da una piccola libreria nel salernitano, si è diramata in men che non si dica sui social network e ha conquistato operatori culturali, librai, festivalari, salonari e lettori (forse nessuno ha messo in conto di poter ricevere una raccolta di favole dravidiche). A Bari hanno addirittura organizzato un incontro pubblico, nella libreria Zaum, per discutere la faccenda e cercare di renderla il più virale possibile, di “fare rete” – che poi non significa nient’altro che fare numero, ma meglio non svelare gli arcani.

    Rimetti a noi i tuoi like, come noi li rimettiamo ai nostri follower. Ritwittami che ti ritwitto, mipiaciami che ti mipiacio. Condividimi che ti condivido. Gli imperativi dei social network sottendono una ferrea ragione morale: il quid pro quo. Tuttavia, anche i regali sono un quid pro quo, sono un modo (il migliore) per conquistare le persone: non c’è niente di male. Ma il fronte per la salvezza letteraria sembra ignorarlo e credere davvero che il libro sospeso sia una “iniziativa” di grande gratuità, una prova di filantropia e amore disinteressato verso gli altri, anziché un modo piacione per sentire di aver fatto un favore alla cultura, scolarizzando malcapitati sconosciuti che non possono che mostrare infinito gaudio se gli viene regalato, per caso, l’ultimo libro di Margaret Mazzantini. Sembra credere che la letteratura, come la felicità, è reale solo se condivisa e che, allora, per salvarla basti regalarne qualche sprazzo, come nel giochino di facebook che è nato in risposta alle neknomination, quei video tremendi in cui gli adolescenti si filmano mentre bevono un litro di birra in un sol sorso e poi taggano gli amici che sono costretti a rispondere facendo altrettanto. Con la neknomination letteraria, invece, si scrive l’estratto di un libro e si taggano gli amici esortandoli a fare lo stesso, così il popolo virtuale si ricorda che esiste qualcosa di più di una birra, cioè i libri. Quanta virtù.

    Aperilibri, statuslibri, libri sospesi. E dire che i romanzieri ottocenteschi si impegnarono tanto per far sì che la lettura diventasse un fatto privato, perché solo in quel modo avrebbe condotto alla libertà intellettuale.