La Nasa rompe con Putin nel cosmo e dice “per la Crimea” (ma è per soldi)

Giulia Pompili

La verità è che l’illusione di una corsa allo spazio condivisa tra i paesi, libera dalle influenze della politica, che lasciasse puro il sogno della scoperta dell’universo e dei suoi misteri, era, appunto, un’illusione. E il perché è presto detto: follow the money. Ieri la Nasa, l’agenzia spaziale americana, ha ufficializzato una voce che circolava già da tempo. Michael O’Brien, responsabile delle relazioni internazionali dell’agenzia, ha inviato in mattinata una laconica email a tutti i dipendenti della Nasa: “Vista la violazione in corso da parte della Russia della sovranità e dell’integrità dell’Ucraina, tutti i rapporti con il governo russo”, e quindi con l’agenzia spaziale russa, la Roscosmos, sono da considerarsi “sospesi fino a nuovo ordine” di Washington.

    La verità è che l’illusione di una corsa allo spazio condivisa tra i paesi, libera dalle influenze della politica, che lasciasse puro il sogno della scoperta dell’universo e dei suoi misteri, era, appunto, un’illusione. E il perché è presto detto: follow the money. Ieri la Nasa, l’agenzia spaziale americana, ha ufficializzato una voce che circolava già da tempo. Michael O’Brien, responsabile delle relazioni internazionali dell’agenzia, ha inviato in mattinata una laconica email a tutti i dipendenti della Nasa: “Vista la violazione in corso da parte della Russia della sovranità e dell’integrità dell’Ucraina, tutti i rapporti con il governo russo”, e quindi con l’agenzia spaziale russa, la Roscosmos, sono da considerarsi “sospesi fino a nuovo ordine” di Washington. Ma qui la geopolitica e i rapporti diplomatici c’entrano poco. A dimostrarlo è il fatto che nessun’altra agenzia spaziale ha seguito la Nasa: rompere la collaborazione spaziale con i russi non conviene a nessuno. America e Russia hanno iniziato a lavorare a programmi spaziali congiunti nel 1975, con il test Apollo-Soyuz, il primo realizzato in cooperazione. Durante la Guerra fredda lo spazio era stato uno dei terreni di sfida delle due potenze. La corsa allo spazio.

    Ieri, quando l’email interna è iniziata a circolare in rete, la Nasa ha fatto una dichiarazione ufficiale più esplicativa: “La Nasa sta mettendo a fuoco un piano per tornare a fare voli umani spaziali su suolo americano, e mettere fine alla nostra dipendenza dalla Russia per arrivare nello spazio”. Rimettere in piedi un programma spaziale esclusivamente americano “è stata una delle principali priorità dell’Amministrazione Obama negli ultimi cinque anni”, ma il problema è nei finanziamenti. Dopo l’ultima riduzione del budget approvata dal Congresso, alla Nasa si aspettano di far partire un astronauta dal suolo americano non prima del 2017. “La scelta qui è tra finanziare pienamente il progetto per riportare i lanci spaziali in America oppure continuare a inviare milioni di dollari ai russi. E’ semplice. Se l’Amministrazione Obama sceglie di investire in America, siamo sicuri che il Congresso farà lo stesso”, conclude la nota.

    Lo Space Shuttle program, ovvero il programma di voli umani spaziali americano, è stato sospeso tre anni fa dopo il disastro dello Space Shuttle Columbia, esploso durante il rientro sulla terra il 1° febbraio del 2003, il secondo disastro spaziale dopo quello del Challenger, esploso 73 secondi dopo il lancio nel 1986. L’8 luglio del 2011, dal Kennedy Space Center in Florida, partì lo Space Shuttle Atlantic con a bordo quattro astronauti americani. Fu l’ultimo lancio del progetto spaziale durato un trentennio, celebrato da Obama come la fine di un’epoca. Ma fu proprio la sua Amministrazione a spingere la Nasa a cambiare progetti di ricerca – che in un primo momento prevedevano una nuova esplorazione umana della luna ma che Obama chiese di cambiare con l’esplorazione “più profonda” dello spazio, compreso Marte e alcuni asteroidi

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    Dal 2011 quindi l’America è costretta a pagare per volare nello spazio. Esclusi i progetti di ricerca di India e Cina, per esempio, che conducono missioni spaziali non in cooperazione, l’unica navicella che attualmente è in grado di portare un uomo nello spazio è la Soyuz. Una navicella russa, che viene lanciata dal celebre cosmodromo di Baikonur, in Kazakistan. La città delle stelle kazaca, quella da cui partì Yuri Gagarin, è in realtà sotto la completa amministrazione russa. Per ogni astronauta che gli americani vogliono mandare nello spazio, devono pagare Mosca: il biglietto per l’astronauta Steve Swanson, lanciato con altri due cosmonauti russi  il 25 marzo scorso, per la Nasa è stato di 70,7 milioni di dollari. Già in occasione di quel lancio il direttore della Nasa, Charles Bolden, scriveva sul suo blog che la collaborazione con la Russia è certamente molto utile, ma che l’America deve cominciare a investire di più sull’industria aerospaziale, specialmente quella commerciale: “Sono più di una dozzina gli stati in America che stanno iniziando a costruire spazioporti, contribuendo a creare posti di lavoro e un’industria innovativa. Con tale forte potenziale economico, non c’è da stupirsi che questo approccio ha raccolto il sostegno bipartisan”. Un business sul quale i privati hanno già iniziato a speculare: quello dei satelliti commerciali è un mondo che frutta 190 miliardi di dollari all’anno. Alla fine dello scorso anno l’azienda americana SpaceX ha lanciato con successo dalla Florida un satellite di comunicazione del gruppo Ses World Skies. La SpaceX ha con la Nasa un contratto da 1,6 miliardi di dollari per il lancio di dodici navicelle cargo (prive di equipaggio) per rifornire la Stazione spaziale internazionale. Il progetto a cui guardano Bolden e la Nasa è una più stretta collaborazione con le aziende private per arrivare alla produzione di uno Shuttle americano il prima possibile.

    • Giulia Pompili
    • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.