Il rimpasto a Parigi

Valls non risolve il problema della direzione economica della Francia

David Carretta

Dopo la svolta “da combattimento” con Manuel Valls come primo ministro, il presidente francese, François Hollande, ieri è tornato all’equilibrismo politico, nominando un nuovo governo molto simile a quello diretto dall’ex premier Jean-Marc Ayrault senza risolvere le grandi contraddizioni sulla direzione economica che intende dare alla Francia. Tra i sedici ministri che compongono la squadra Valls, solo due sono nuovi entranti. Ségolène Royal, ex compagna di Hollande e candidata sconfitta alle presidenziali del 2007, ritrova il posto che aveva nel governo di Pierre Bérégovoy, in piena èra Mitterrand, nel biennio 1992-1993

    Dopo la svolta “da combattimento” con Manuel Valls come primo ministro, il presidente francese, François Hollande, ieri è tornato all’equilibrismo politico, nominando un nuovo governo molto simile a quello diretto dall’ex premier Jean-Marc Ayrault senza risolvere le grandi contraddizioni sulla direzione economica che intende dare alla Francia. Tra i sedici ministri che compongono la squadra Valls, solo due sono nuovi entranti. Ségolène Royal, ex compagna di Hollande e candidata sconfitta alle presidenziali del 2007, ritrova il posto che aveva nel governo di Pierre Bérégovoy, in piena èra Mitterrand, nel biennio 1992-1993: responsabile del ministero dell’Ambiente con l’aggiunta dell’Energia. L’amico di lunga data del presidente e aspirante successore di Valls all’Interno, François Rebsamen, sarà ministro del Lavoro e del Dialogo sociale. Per il resto, tra conferme, promozioni e spostamenti, Hollande ha proceduto a un semplice rimpasto. Laurent Fabius resta agli Esteri, Jean-Yves Le Drian alla Difesa, Christiane Taubira alla Giustizia (malgrado le polemiche per le intercettazioni dell’ex presidente Nicolas Sarkozy) e Stéphane Le Foll all’Agricoltura (ma con le stellette di portavoce del governo).

    “E’ un governo che porta più il marchio di Hollande che di Valls”, spiegano a Parigi. Di fronte al rischio di perdere la maggioranza all’Assemblea nazionale, dopo il rifiuto dei Verdi di entrare nell’esecutivo, il presidente ha dovuto accontentare la sinistra del Partito socialista, critica nei confronti del liberale Valls. Arnaud Montebourg è stato promosso ministro dell’Economia, del Rilancio produttivo e del Digitale, mentre Benoît Hamon guiderà l’Istruzione. L’ingombrante e antieuropeista Montebourg, apostolo della deglobalizzazione e del protezionismo, coabiterà a Bercy (sede del ministero dell’Economia e delle Finanze) con il moderato ed europeista Michel Sapin, scelto per le Finanze. Il primo dirigerà la politica economica e industriale della Francia con l’obiettivo di sedurre gli elettori del Front national. Il secondo, ex ministro del Lavoro, sarà il garante dei conti pubblici di fronte a Bruxelles e Berlino.

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    Negli ultimi due anni, Bercy era diventato il simbolo della cacofonia politica di una Francia irriformabile. Gli scontri tra una pletora di ministri, in particolare tra Montebourg e Moscovici sulle nazionalizzazioni, e un’opa ostile fallita dell’ex premier Ayrault, che aveva tentato invano di sostituire il direttore generale del Tesoro Ramon Fernandez, hanno contribuito all’immobilismo su riforme e alla deriva dei conti. Il mostro a due teste imposto da Hollande per Bercy può apparire simile a quello adottato in Germania, dove il conservatore Wolfgang Schäuble guida le Finanze e il socialdemocratico Sigmar Gabriel controlla l’Economia, senza alcuna invasione di campo. Ma la grande coalizione di Berlino è molto più coerente sulla politica economica e finanziaria del “governo ristretto” dei socialisti di Hollande a Parigi. Sapin e Montebourg sono come “l’acqua e il fuoco”, dice Thierry Mandon, portavoce dei deputati socialisti all’Assemblea nazionale: “Da una parte c’è un uomo che sa negoziare, dall’altra uno che va al fronte”. Sapin ha difeso l’impegno di riportare il deficit sotto il 3 per cento come chiede Bruxelles. Per Montebourg, “l’Europa ci riorienta in un senso autoritario, in un senso dogmatico”. Nonostante sia conosciuto per le sue capacità di mediazione, Sapin è riuscito a convincere i sindacati ad accettare soltanto una modesta riforma del lavoro. Montebourg, dopo i suoi scontri con boss delle multinazionali del calibro dell’indiano Lakshmi Mittal e dell’americano Maurice Taylor, è apprezzato dai grandi industriali francesi per il suo attivismo e i suoi aiuti di stato pro “made in France”.

    Per non rimanere schiacciato dalle rivalità di Bercy, nel momento in cui deve dare impulso al Patto di responsabilità che dovrebbe rilanciare la competitività francese, Valls ha scelto come capo di gabinetto una dura che viene dal ministero dell’Economia. Véronique Bédague-Hamilius, con fama di autoritaria e un passato al Fondo monetario internazionale, dovrà tenere d’occhio la prevedibile guerra tra Monteburg e Sapin, spingendo Valls a usare il pugno di ferro sulla politica economico-finanziaria. Sempre che un’altra donna, Ségolène Royal, non si intrometta. Secondo il Canard Enchaîné, si sarebbe lamentata perché la passata convivenza con il capo dello stato non le ha permesso di accedere a Matignon. “Se non avessi vissuto con Hollande, sarei primo ministro. Sono la buona scelta”, avrebbe detto Royal, in quella che appare come una dichiarazione di guerra preventiva a Valls.