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Ma i dirigenti pubblici italiani sono davvero strapagati? Sì, ecco le prove

Marco Valerio Lo Prete

Il ministro della Funzione Pubblica, Marianna Madia, annuncia prepensionamenti per i dipendenti pubblici in eccesso, anche per favorire l'accesso dei giovani alla Pubblica amministrazione. Le polemiche non mancano, così per un altro dossier controverso come quello del tetto agli stipendi di manager e dipendenti pubblici. I critici accusano il governo di cedere in questo modo a un populismo un po' becero, di alimentare il "dàgli al burocrate" soltanto per guadagnare i consensi. Ma davvero i dirigenti pubblici italiani sono strapagati rispetto ai colleghi degli altri paesi industrializzati? La risposta, populismi o non populismi, è "sì". Almeno se si leggono gli ultimi dati resi noti dall'Ocse, cioè l'organizzazione internazionale dei paesi industrializzati.

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    L'annunciata riforma della Pubblica amministrazione continua a far discutere, anche se per ora ad animare il dibattito sono soltanto annunci e dichiarazioni di esponenti del governo. Dichiarazioni come quelle del ministro della Funzione pubblica, Marianna Madia, che stamattina ha parlato di "una sana mobilità obbligatoria" da mettere in atto per diminuire il numero di statali. Anche la Madia, come negli scorsi giorni Matteo Renzi, a dire il vero ha preso le distanze dagli 85mila esuberi nella Pubblica amministrazione di cui aveva parlato il commissario alla revisione della spesa pubblica, Carlo Cottarelli. "Un numero e una terminologia assolutamente sbagliati e distorti anche rispetto al piano Cottarelli", ha detto Madia. Piuttosto "l'idea sarà quella di provare ad avere uscite, anche con prepensionamenti", ha spiegato aggiungendo che in questo modo si aiuterebbero i giovani "ad entrare nella Pa".

    Un altro dossier controverso è quello di un tetto agli stipendi di manager e dipendenti pubblici. Questi ultimi, secondo le intenzioni di Renzi, dovrebbero al massimo eguagliare il compenso annuo del Presidente della Repubblica, cioè 239 mila euro. Un modo per liberare risorse, sostiene il governo, magari da restituire ai cittadini sotto forma di un fisco meno gravoso. Non mancano i critici, cioè chi accusi il governo di cedere in questo modo a un populismo un po' becero, di alimentare il "dàgli al burocrate" soltanto per guadagnare consensi. Ma davvero i dirigenti pubblici italiani sono strapagati rispetto ai colleghi degli altri paesi industrializzati? La risposta, populismi o non populismi, è "sì". Almeno se si leggono gli ultimi dati resi noti dall'Ocse, cioè l'organizzazione internazionale dei paesi industrializzati.

    Ecco qui sotto, in un grafico, "lo stipendio medio annuale dei dirigenti pubblici del governo centrale". Il livello delle retribuzioni italiane spicca rispetto a quello di tutti gli altri paesi, come si evince dalle due colonnine blu al centro del grafico, pari a più del doppio delle colonnine rosse a destra che rappresentano la retribuzione media dei paesi Ocse. I dirigenti classificati come "D1" dall'Ocse sono quelli che vengono subito dopo il ruolo di ministro; a seguire vengono quelli classificati come "D2". Per i primi lo stipendio lordo supera i 600 mila dollari annui (a parità di potere d'acquisto).

    Se lo stipendio annuo dei dirigenti pubblici italiani viene confrontato allo stipendio medio dei lavoratori laureati (grafico in basso, a sinistra) o al reddito pro capite dell'italiano medio (grafico in basso, a destra), lo squilibrio resta eccome. I dirigenti della Pa italiana sono sempre i più pagati rispetto al reddito medio della popolazione, seguiti da colleghi cileni e neozelandesi. Un primato cui ora Renzi sembra voler rinunciare.

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