LaPresse

Tra giravolte e sorrisi Renzi tratta sui soldi coi burocrati europei

Salvatore Merlo

Il principio, raccontano i più spiritosi tra gli uomini di Matteo Renzi, è lo stesso del Cavalier Berlusconi che un giorno di tanti anni fa disse ai microfoni dei cronisti sportivi: “Non comprerò mai Nesta”, ma poi, oplà, con grazia acrobatica un assegno fu staccato dal Sovrano di Arcore e il grande difensore passò in effetti al Milan. E dunque adesso il giovane presidente del Consiglio, Renzi, prima sorride a Angela Merkel, la incontra a Berlino con il paltò male abbottonato e la blandisce rassicurandola mostrandosi persino naïf, ma poi si allontana dal cielo grigio della Germania e all’improvviso comunica con piglio orgoglioso e maturo l’idea di voler battagliare, e molto, sul famoso vincolo del 3 per cento nel rapporto deficit/pil.

Il principio, raccontano i più spiritosi tra gli uomini di Matteo Renzi, è lo stesso del Cavalier Berlusconi che un giorno di tanti anni fa disse ai microfoni dei cronisti sportivi: “Non comprerò mai Nesta”, ma poi, oplà, con grazia acrobatica un assegno fu staccato dal Sovrano di Arcore e il grande difensore passò in effetti al Milan. E dunque adesso il giovane presidente del Consiglio, Renzi, prima sorride a Angela Merkel, la incontra a Berlino con il paltò male abbottonato e la blandisce rassicurandola mostrandosi persino naïf, ma poi si allontana dal cielo grigio della Germania e all’improvviso comunica con piglio orgoglioso e maturo l’idea di voler battagliare, e molto, sul famoso vincolo del 3 per cento nel rapporto deficit/pil. “E’ oggettivamente anacronistico”, dice dunque Renzi, salvo poi cambiare idea ancora una volta, smentendo la smentita, correggendo la capriola: “L’Italia è uno di quei paesi che rispetta tutti i vincoli”. E insomma la politica è effetto di scena, come diceva Karl Kraus, e l’Italia aveva finora conosciuto un solo equilibrista, simpatico e ruffiano, contraddittorio e cinico, magico illusionista anche nei rapporti internazionali, cioè Silvio Berlusconi. Adesso ce n’è un altro, e altrettanto bravo, pare, si chiama Matteo Renzi.

Il mutevole e giocoso presidente del Consiglio italiano è stato accolto ieri a Bruxelles dai sorrisetti ambigui di Manuel Barroso e di Herman Van Rompuy, rispettivamente presidente della Commissione e presidente del Consiglio europei, entrambi lontani – certo – dall’irrisione infantile che Sarkozy e Merkel riservarono a Berlusconi, eppure altrettanto ambigui, ieri, nei confronti del nuovo padrone di casa italiano. “Le regole si rispettano”, ha voluto sottolineare Barroso, accortosi della forma anguillesca del suo interlocutore. Ma lui, il premier italiano, a quel punto lo ha guardato dritto negli occhi come Robert De Niro in “Taxi driver” si guardava allo specchio: are you talking to me? “L’Italia non ha intenzione di violare le regole”.

Anche il Cavaliere aveva promesso guerra alla Merkel, ma poi le fece cucù, come oggi Renzi le fa pat-pat e poi le mette il muso. E come Berlusconi, anche Renzi è dunque capace di capovolte e infingimenti, funambolismi e candidi calembour, il suo bronzo non è meno evoluto di quello berlusconiano. E questa contraddittorietà, questo considerare la vita politica una faccenda allegramente interstiziale, che fa storcere il naso al Giornale e a Libero, i quotidiani del centrodestra che raffigurano Renzi col naso lungo di Pinocchio, sembra la definitiva modernità d’Italia, cioè l’eredità del Cavaliere, l’inafferrabile progresso politico d’un paese che non richiede coerenza al suo leader ribaldo, l’uomo cui tutto è perdonato secondo il principio assolutorio del rapporto diretto e simpatetico tra capo ed elettori. Quello che si dice oggi non conterà mai come quel che si dirà domani, ma l’acrobazia di domani è nulla in confronto alla capriola che verrà il giorno dopo. Il Sultano di Arcore è stato capace di alimentare una dialettica aggressiva contro Letta e il suo governo, ha spinto i suoi fedelissimi alle urla televisive, “non voteremo mai la fiducia”, ma poi, con eleganza di giocoliere, come tutti ricordano, si presentò in Aula al Senato dicendo il contrario esatto di quanto aveva affermato appena pochi minuti prima: “Voteremo la fiducia al governo, siamo responsabili”. E allo stesso modo Renzi ha promosso – e forse promuove ancora – un’offensiva economica contro l’articolo 18. Mesi fa mandò avanti il suo consigliere Yoram Gutgeld come oggi fa con Pietro Ichino, salvo poi annusare l’aria dichiarando con innocenza che “le proposte sull’articolo 18 non sono mie”. Lo aveva già fatto prima del percorso a ostacoli che lo ha proiettato alla segreteria del Pd, sembrava voler concedere qualcosa al vecchio sentimento socialdemocratico, al pensiero comune e old labour, ma anche lì ha poi cambiato volto quando si è accorto che tra gli iscritti della Cgil lui raccoglieva pochissimi consensi. Adesso tocca a Angela Merkel subire e osservare queste candide evoluzioni, che sono forse un equivoco – ma spesso vincente – intorno alla natura della politica.

Di più su questi argomenti:
  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.