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La satira studentesca su YouTube sarà pure virale ma è piena di facili luoghi comuni

Simonetta Sciandivasci

“Esami”, invece, è tutta un’altra storia. Ferrario attinge al patrimonio – si fa per dire – dei youtuber universitari e in 6 o 7 minuti per episodio (per ora ce ne sono 5) inscena stralunate performance accademiche. Copione: uno studente serio e credibile (tranne che nel caso del laureando in medicina, che per avere 30 e lode piange fingendosi donna e di una apparizione del Pips, però sciapito, né infame né senza infamia) va a dare un esame, subisce corruzione e menefreghismo; segue evento rocambolesco ispirato a ignominiose cronache locali.

    Quanto ci manca Carmelo Bene. Sentirlo sbraitare contro gli studenti universitari, soprattutto, ci manca. Chissà come li demolirebbe se vedesse come si sono ridotti ultimamente: compassati, alienati, invecchiati. Contezza dello sciagurato stato dell’arte studentesco la danno ovviamente i social network, dove è tutto un fioccare di tutorial per sopravvivere alla sessione estiva, parodie di prove da sforzo accademico, flash mob. Una gara a chi racconta con più guittezza, disperazione e demenzialità la vita universitaria media.

    “Mummie imbellettate che nidificano nell’autoconservazione”, scriveva Bene a proposito dei discenti in rivolta (allora come ora, tutti a scioperare per il diritto al futuro e ad usucapirlo perché “se studiamo, siamo bravi”), nel vano tentativo di salvarli, restituirli all’audacia dei vent’anni.

    Oggi decreterebbe che sono insalvabili, non svegliabili. Come la satira studentesca, ormai un genere virale, recentemente santificato e dogmatizzato da Edoardo Ferrario nella web serie “Esami”,  un “racconto del pirotecnico mondo dell’università italiana, per chi la frequenta, per chi l’ha evitata e per chi non ne è mai uscito”.

    Attore assai bravo, Ferrario è stato scoperto da Caterina Guzzanti ne “La Prova dell’8”, in onda l’anno scorso su Mtv, dove interpretava lo studente di improbabili istituti d’arte, er Pips. Faceva ridere, demoliva i creativi, destrutturava la storia dell’arte in chiave "pischella".

    “Esami”, invece, è tutta un’altra storia. Ferrario attinge al patrimonio – si fa per dire – dei youtuber universitari e in 6 o 7 minuti per episodio (per ora ce ne sono 5) inscena stralunate performance accademiche. Copione: uno studente serio e credibile (tranne che nel caso del laureando in medicina, che per avere 30 e lode piange fingendosi donna e di una apparizione del Pips, però sciapito, né infame né senza infamia) va a dare un esame, subisce corruzione e menefreghismo; segue evento rocambolesco ispirato a ignominiose cronache locali (tipo: il prof di filosofia prima difende il pensiero puro dalla burocratizzazione accademica e poi contratta 400 euro o una bella filosofa col piercing sulla topa in cambio di un 28).

    Studenti poveri ma belli; professori che se non sono vecchi e bavosi, sono giovani e incompetenti; l’immanenza della disoccupazione nella filosofia e quella del posto fisso nell’ingegneria; la scoperta che studiare mattamente e disperatamente non serve a cambiare verso. Dei caposaldi delle doleances non ne manca neanche uno. Abbiamo tutti un esame da piangere e far scattare la leva del riconoscimento è facilissimo, anche con una sbobba.

    Dato pacifico: l’università italiana può essere molto mortificante.

    Lo è ancora di più il pensiero secondo cui se sei disoccupato senza laurea è colpa tua, ma se sei disoccupato con la laurea è colpa dello Stato: dal momento che lo hanno elaborato gli studenti, sono mortificanti pure loro. Carmelo Bene li avrebbe voluti tutti capolavori viventi, ma non si può chiedere tanto. Ragazzi che diano la vaga impressione di fare qualcosa in cui credono e che questo qualcosa non sia un’assicurazione che li debba risarcire non appena il mondo non li porta in trionfo, invece, si può chiedere.

    Quando Lucio Dalla ricevette la laurea honoris causa in Lettere dall’Università di Bologna, commentò: “Finalmente posso fare il concorso per diventare impiegato comunale”. Va bene, lui era un artista: coi titoli di studio poteva fermarsi al battesimo. Eppure, “invece di studiare Arte abbiamo studiato Giurisprudenza, invece di scrivere siamo diventati professori, invece di continuare con lo sport abbiamo fatto economia” secondo le parole rivolte da un ragazzo a laureati e laureandi, sulle colonne del Corriere della Sera, poco più di una settimana fa. Speriamo indichino che qualcuno si sta svegliando per una sfida un po’ più grossa della satira vittimista e autoindulgente su YouTube.