Al Monte si scioglie la banca politicizzata che stupì Pareto

Francesco Forte

La Fondazione Monte dei Paschi ha ceduto sul mercato, a 0,2337 euro per azione, il 12 per cento del suo pacchetto della banca Monte dei Paschi. Ha quasi dimezzato la sua quota azionaria (ora è al 15 per cento) allentando la presa sull’istituto. Peraltro la partecipazione è destinata a scendere ulteriormente in forza di un aumento di capitale per 3 miliardi di euro, necessario a rimborsare un prestito statale (i Monti bond) che ne diluirà la quota. Per collocare le azioni in blocco – si presume che gli acquirenti siano dei fondi speculativi, e non sorprenderebbe se dietro ci fosse il fondo americano BlackRock, ultimamente molto attivo sul credito italiano – la Fondazione ha dovuto vendere a sconto ma ha comunque ricavato l’importo necessario al rimborso dei debiti contratti con le banche durante l’avventurosa precedente gestione politicizzata.

    La Fondazione Monte dei Paschi ha ceduto sul mercato, a 0,2337 euro per azione, il 12 per cento del suo pacchetto della banca Monte dei Paschi. Ha quasi dimezzato la sua quota azionaria (ora è al 15 per cento) allentando la presa sull’istituto. Peraltro la partecipazione è destinata a scendere ulteriormente in forza di un aumento di capitale per 3 miliardi di euro, necessario a rimborsare un prestito statale (i Monti bond) che ne diluirà la quota. Per collocare le azioni in blocco – si presume che gli acquirenti siano dei fondi speculativi, e non sorprenderebbe se dietro ci fosse il fondo americano BlackRock, ultimamente molto attivo sul credito italiano – la Fondazione ha dovuto vendere a sconto ma ha comunque ricavato l’importo necessario al rimborso dei debiti contratti con le banche durante l’avventurosa precedente gestione politicizzata. Ora che il capitale è stato messo “in libertà”, la banca è contendibile sul mercato e questo è un fatto di rilevanza storica, in quanto cessa il rapporto strettissimo fra la banca senese e la sinistra politica che ha caratterizzato dal Dopoguerra in poi questa roccaforte del capitalismo di relazione. Adesso la Fondazione, guidata da Antonella Mansi, per quanto impoverita, può ancora svolgere un ruolo importante sul territorio e nel mondo culturale e sociale senese. Questo ruolo sarà politicizzato perché il Pd non è un partito liberal-socialista. Perciò la Fondazione discriminerà, e potrà farlo in buona fede, confidando nell’immaginaria superiorità morale e intellettuale degli operatori culturali che sosterrà. Ma questo è un male molto minore rispetto all’intreccio fra sinistra e grande banca che è invece cessato lasciando il posto al mercato.
    Certo, rimangono non poche Fondazioni bancarie politicizzate, quasi tutte legate al Pd, e dotate di potere sulle banche di riferimento. Ma è caduta la roccaforte principale di questo capitalismo ibrido, quella toscana, ove esso è nato nel 1856 con la fondazione della rivista l’Economista, frutto di una alleanza fra banchieri locali e sinistra storica, con l’avallo dell’insigne (ma ingenuo) economista liberista Francesco Ferrara. Questa alleanza ha colto i suoi frutti nel 1876, quando la destra toscana passò a sinistra di Agostino Depretis e, con il sostegno dei banchieri locali, interessati alla gestione delle ferrovie – con sovvenzione statale – sorse il governo Depretis: il primo monocolore di sinistra, sorretto da una pattuglia di destra passata a sinistra. Ebbe così inizio il trasformismo e l’alleanza di governo fra sinistra e banca. Vilfredo Pareto, ingegnere-economista, allora dirigeva in Toscana una grande impresa ferroviaria. Fu il ricordo di questi fatti che lo stimolò a teorizzare nel “Trattato di sociologia” l’alleanza fra speculatori (leggi: banchieri) e partiti della sinistra redistributiva, come un patto utile a entrambi. Dunque con la perdita da parte della Fondazione del controllo su Mps cade un simbolo, oltreché un monolite, del capitalismo basato sulle relazioni politiche. Mps può adesso diventare una public company con azionariato internazionale. L’istituto ha in pancia molti titoli di debito pubblico italiano e sino a ora le agenzie di rating, le organizzazioni internazionali e la Banca centrale europea puntavano l’indice sull’intreccio pericoloso fra una banca, a cui lo stato ha erogato un grosso prestito subordinato, e i titoli pubblici che essa possiede. Ora tocca al suo presidente Alessandro Profumo, che si scontrò aspramente con la Fondazione, dimostrare abilità nel gestire l’aumento di capitale.