Padoan, indagine sul Tesoro

Claudio Cerasa

Google Translate è un famoso servizio che offre in ogni momento traduzioni istantanee in decine di lingue diverse. Funziona così: tu vai nella pagina del traduttore, selezioni la lingua, incolli la frase da decifrare in una finestra, schiacci il pulsante “traduci”, e in un attimo, anche grazie al prezioso lavoro svolto dai tecnici che curano gli algoritmi di Google, ti ritrovi nella finestra accanto con la traduzione offerta dal motore di ricerca più famoso del mondo. Da un certo punto di vista, per capire la natura del rapporto che si sta andando a strutturare tra il presidente del Consiglio e il suo ministro dell’Economia bisogna partire proprio da qui.

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    Google Translate è un famoso servizio che offre in ogni momento traduzioni istantanee in decine di lingue diverse. Funziona così: tu vai nella pagina del traduttore, selezioni la lingua, incolli la frase da decifrare in una finestra, schiacci il pulsante “traduci”, e in un attimo, anche grazie al prezioso lavoro svolto dai tecnici che curano gli algoritmi di Google, ti ritrovi nella finestra accanto con la traduzione offerta dal motore di ricerca più famoso del mondo. Da un certo punto di vista, per capire la natura del rapporto che si sta andando a strutturare tra il presidente del Consiglio e il suo ministro dell’Economia bisogna partire proprio da qui. Dall’immagine del traduttore istantaneo. Dal lavoro svolto dai tecnici che curano l’algoritmo. Dove Matteo Renzi naturalmente è lo studente che prova a tradurre le sue idee e i suoi giochi di prestigio in una lingua sconosciuta (la politica economica). Dove Pier Carlo Padoan è il traduttore scelto per rendere comprensibili i giochi di prestigio in questa lingua sconosciuta. Dove infine i molti cuscinetti che si trovano tra il ministro e il premier servono a migliorare la qualità dell’algoritmo e a evitare che tra una traduzione e un’altra vi possa essere, come dire, qualche spiacevole “lost in translation”. Renzi e Padoan, già. Perché in fondo gran parte del destino del governo Leopolda non potrà che passare da qui. Da come Padoan riuscirà a incardinare l’esuberanza di Renzi in processi legislativi. Da come Padoan riuscirà a trasformare i fuochi d’artificio in precisi negoziati. E da come i due insomma riusciranno a offrire una risposta a una domanda semplice: ma il presidente del Consiglio e il ministro dell’Economia saranno in grado, o no, di costruire un percorso diverso rispetto a quello costruito nel passato da Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti? Detto in maniera più brutale: Padoan ha le caratteristiche per trovare una profonda sintonia con il premier o il suo profilo da tecnico è destinato a entrare in pericolosa collisione con l’orbita del Rottamatore come successo nelle passate legislature (2001, 2008) tra il Cavaliere e il suo ministro dell’Economia? Abbiamo lavorato per alcuni giorni sul percorso di Padoan, sulla sua storia, sulle sue amicizie, sulle sue coperture, sulla sua squadra di collaboratori, sulla sua rete di contatti, sulla sua agenda, sul senso della sua presenza a Via XX Settembre e abbiamo provato a dare una risposta alla domanda. La risposta è “sì”, Renzi e Padoan hanno le caratteristiche per convivere, ma per capire il “sì”, e capire quali sono i veri progetti a cui lavorano la presidenza del Consiglio e il ministero dell’Economia, e per capire quali ostacoli dovranno essere superati per scongiurare la “Tremonti Translation”, bisogna mettere insieme alcuni puntini e partire dall’inizio. C’entra la storia di Padoan, ovvio, ma c’entra soprattutto il modo in cui è nata la scelta di Padoan all’Economia. Tutto comincia così. Renzi vuole un politico all’Economia. Napolitano vuole un tecnico. Renzi allora cerca un “non tecnico” che possa tradurre all’Economia la sua visione politica. Napolitano però insiste per non consegnare il Tesoro ai ragazzi della Leopolda. Renzi capisce che, a parte Delrio, un “non tecnico” che possa tradurre al Tesoro la sua politica economica non esiste sul mercato. Napolitano sorride, continua per la sua strada, si rende conto però che il governo Renzi per segnare una discontinuità con i governi del passato all’Economia ha bisogno di un volto non eccessivamente tecnico. Si cerca una mediazione. Napolitano e Renzi sfogliano la rosa di nomi. E alla fine il “sì” ricade su quello che entrambi, sia Renzi sia Napolitano, considerano il più politico tra i tecnici a disposizione: Pier Carlo Padoan. Politico, ok, ma in che senso? Il grado di “politicità” di Padoan non è un dato legato solo ai rapporti avuti nel passato con Massimo D’Alema (di cui è stato consigliere economico a Palazzo Chigi), con Giuliano Amato (di cui è stato consigliere economico a Palazzo Chigi), con Romano Prodi (che lo volle nel 2007 come vice segretario generale dell’Ocse), con Enrico Letta (che lo ha voluto nel 2013 come capo dell’Istat), con Franco Bassanini (che ha conosciuto frequentando il centro studi Astrid) ma è un dato legato alla formazione stessa del ministro dell’Economia. Padoan, oltre a essere stato a lungo, seppure da posizioni non ortodosse, un collaboratore della rivista Critica Marxista, si avvicina da giovane alla politica prendendo la tessera della Federazione dei Giovani comunisti italiani, si lega al mondo pidiessino e diessino della Capitale, ne studia gli atteggiamenti, ne assorbe gli argomenti e anche per questo accetta durante la sua esperienza accademica di guidare per alcuni anni la dalemiana fondazione ItalianiEuropei (e ancora oggi, Padoan, quando scambia sms con gli amici della fondazione, tiene a precisare di essere rimasto affezionato, negli anni, non solo alla fede romanista ma soprattutto a quella dalemiana). Padoan, diversamente da Tremonti, non è un politico che cerca di avere una legittimazione mostrando al mondo il suo profilo tecnico ma è un tecnico che, al contrario, è consapevole di poter raggiungere risultati facendo soprattutto leva sulle sue capacità politiche, giocando dunque di sponda con il premier, assecondando le sue fantasie, e stando sempre attento, sì, a non far spendere al nipote soldi che non ha, ma evitando di mostrare in pubblico, o peggio all’interno del Consiglio dei ministri, la sua possibile irritazione. In termini concreti, però, il gioco di sponda tra Renzi e Padoan su quali fronti potrà trovare un comune terreno di azione? E soprattutto, Padoan come riuscirà a premere il pulsante “traduci” ed evitare così che le slide renziane siano ricordate nel futuro solo come una bella trovata comunicativa? L’azione del ministro dell’Economia, e il suo tentativo di realizzare il progetto di Renzi, ovvero ottenere qualcosa dall’Europa e dalla Germania a fronte di un sostanziale piano di riforme, si giocherà nell’intervallo tra due date importanti: la presentazione a Bruxelles del Documento di economia e finanza, entro il 21 aprile, e le trattative in vista del consiglio Europeo di ottobre, in pieno semestre europeo. La prima è una data chiave perché sarà Padoan a certificare le coperture grazie alle quali il governo potrà usare i famosi dieci miliardi per mettere le mani su Irpef e Irap e far entrare 1.000 euro nelle tasche di chi guadagna meno di 26 mila euro lordi all’anno. Ma è una data chiave anche perché sarà quello il momento in cui Padoan dovrà presentare le riforme che il governo intenderà realizzare per arrivare a fine anno con una credibilità tale da poter creare le condizioni affinché l’Italia sia in grado di chiedere un aiutino alle cancellerie europee per stimolare la crescita. Padoan è convinto che i tre jolly attraverso i quali l’Italia potrà conquistare il consenso dei burocrati europei coincidono con una radicale riforma del mercato del lavoro (il ministro è favorevole al contratto unico con protezioni crescenti), una rivoluzione sul terreno della contrattazione aziendale (il ministro, ai tempi dell’Ocse, ha dedicato molta attenzione ai temi della scarsa produttività del nostro paese) e ovviamente la revisione della spesa pubblica (pacchetto che però da ieri, come anticipato alcune settimane fa dal Foglio, è passato formalmente dalle mani di Via XX Settembre a quelle di Palazzo Chigi). Già, ma che significa “creare le condizioni”? E perché Padoan potrebbe riuscire laddove invece non sono riusciti gli ultimi ministri dell’Economia, ovvero Fabrizio Saccomanni e Vittorio Grilli? Prevedere le dinamiche delle trattative europee è un’operazione complicata ma il ministro dell’Economia ha sicuramente alcune caratteristiche, non solo politiche, che potrebbero tornare utili al governo. Il fattore C – dove per “C” si intende quella particolare dote di cui può usufruire il governo che si trova a operare in un contesto economico meno proibitivo rispetto a quello del passato – costituisce certamente una spinta in più per il governo Leopolda. Ma quando un esecutivo deve trattare qualcosa di importante in Europa contano anche i dettagli, le psicologie, le diplomazie, i rapporti incrociati, e ci sono dunque ragioni, oltre al fattore C, per cui Padoan si muoverà a Bruxelles in uno scenario diverso dal passato. L’esperienza da vice segretario generale e capo economista dell’Ocse offre al ministro la possibilità di aver un buon rapporto con figure strategiche in Europa come il commissario per gli Affari economici e monetari (Padoan è amico da tempo di Olli Rehn) o come il direttore generale per gli Affari economici e finanziari (Padoan è amico fraterno anche di Marco Buti). Ma offre anche la possibilità di usufruire di un altro vantaggio non secondario: parlare la stessa lingua degli sherpa che durante i G7, i G8, i G20 e gli Ecofin creano un raccordo tra i dossier dei paesi che partecipano ai vertici, e che il più delle volte vengono proprio dall’Ocse, e sapere dunque che tipo di espressioni e che tipo di impostazioni usare per evitare che le burocrazie europee possano stritolare le palle d’acciaio del governo. Piccoli dettagli. Così come piccoli ma sempre significativi dettagli sono i rapporti costruiti da Padoan in Europa attraverso la frequentazione di think tank di peso come il Chatham House Foundation, il Center for European Reform, il Brussels European and Global Economic Laboratory. E così come piccoli ma significativi dettagli sono quelli che ci racconta una nostra fonte alla Commissione europea: “Padoan, insieme con il professor Paolo Guerrieri, è stato a lungo docente di un famoso master finanziato dall’Unione europea, il Collège d’Europe di Bruges, dove si sono formati più o meno tutti i funzionari della Commissione. Direi che più o meno il 50 per cento del personale che lavora tra Strasburgo e Bruxelles è stato allevato dallo stesso Padoan, compreso io, e questo, dal punto di vista diplomatico, dal punto di vista della condivisione di un linguaggio, non avrà un peso secondario”. Ecco. Ma tutto questo per fare cosa? Solo per ricevere una bella stretta di mano da Wolfgang Schäuble? Solo per ricevere un pat-pat da Angela Merkel? Qui arriviamo alla seconda tappa segnata sull’agenda del ministro Padoan: il Consiglio europeo di ottobre. Il piano di Via XX Settembre è questo e coincide con quello del presidente del Consiglio: dopo aver presentato ad aprile il nostro piano delle riforme, dopo aver spiegato gli obiettivi dei nostri tagli di spesa, dopo aver illustrato le nostre coperture, dopo aver insomma realizzato i compiti a casa, passare alla fase del negoziato con l’Europa per ottenere due risultati e avere due buone carte da utilizzare sia in campagna elettorale sia durante il semestre europeo. Carta numero uno: i project bond per le infrastrutture, che Padoan vorrebbe finanziare “attraverso un aumento della capacità della Banca europea degli investimenti” (il ministro nel corso dell’Ecofin della scorsa settimana ha capito che per il momento non c’è spazio per utilizzare la leva del “Fiscal Capacity”, ovvero quel budget centralizzato per i paesi che aderiscono alla moneta unica capace di emettere obbligazioni per finanziare gli investimenti e che era uno dei cavalli di battaglia dell’ex ministro Moavero). Carta numero due: ottenere la possibilità, a fronte di un serio piano di riforme, di avere uno sconto robusto sui 50 miliardi di euro che dal 2015 l’Italia dovrà pagare per onorare il Fiscal compact (50 miliardi che Padoan, come Renzi, sostiene siano impossibili da rintracciare in un anno). I primi passi per instradare il percorso del “do ut des” del governo Leopolda (ovvero: noi, amici europei, vi promettiamo un sacco di riforme, voi però in cambio che ci date?) verranno mossi già il 2 aprile nel corso del prossimo consiglio Ecofin e su questi temi il premier e il ministro hanno una sintonia profonda. Tutto liscio, dunque? Non del tutto. Renzi, pur essendo convinto che Padoan non vestirà mai i panni del professor Tremonti, crede però che il ministero dell’Economia non sia totalmente sotto il suo controllo e conosce sufficientemente bene il profilo delle persone di cui si è circondato il ministro per non poter stare del tutto #sereno. I nomi sono noti: capo di gabinetto di Padoan è Roberto Garofoli, ex capo dell’ufficio legislativo di Giuliano Amato, ex segretario generale di Palazzo Chigi di Enrico Letta; capo della segreteria è Fabrizio Pagani, ex Ocse ma soprattutto ex consigliere economico di Enrico Letta a Palazzo Chigi; e su Via XX Settembre, come si sa, hanno un ascendente particolare non solo il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ma anche una serie di personalità a cui Padoan è politicamente legato (Giuliano Amato, Franco Bassanini, Massimo D’Alema, Domenico Siniscalco e lo stesso Enrico Letta). Per non sbilanciare il baricentro del ministro dell’Economia lontano da Palazzo Chigi il presidente del Consiglio ha preso alcune piccole contromisure. La prima coincide con la squadra di economisti a cui Renzi ha chiesto un contributo nelle ultime settimane per preparare le famose slide (da Yoram Gutgeld passando per Filippo Taddei e arrivando fino a Roberto Perotti) e che avrà un peso nel definire anche il prossimo Def (Renzi non vuole ripetere l’errore commesso in passato da Berlusconi che ha sempre delegato al Tesoro tutta la parte tecnica di scrittura del Documento di economia e finanza). La seconda coincide invece con una figura particolare incaricata dal presidente del Consiglio di mediare tra Palazzo Chigi e il Tesoro: Enrico Morando, viceministro dell’Economia che, oltre a poter triangolare con facilità con i due sottosegretari scelti dal Pd per Via XX Settembre (Pier Paolo Baretta, nel 2008, ha fatto campagna elettorale a fianco di Morando, entrambi erano candidati al Senato in Veneto; Giovanni Legnini, invece, tra il 2008 e il 2013 è stato capogruppo della stessa commissione Bilancio di cui Morando era presidente), è uno dei pochi renziani ad avere un rapporto personale con il presidente della Repubblica. Morando ha ricevuto da Renzi il compito esplicito di lavorare al famoso algoritmo per rendere più semplice la traduzione dalla lingua renziana a quella complicata della politica economica.
    Il futuro dell’esecutivo passa dunque lungo questo filo. E’ tutta una questione di traduzione. E’ tutta una questione di equilibri. E’ tutta una questione di algoritmi. E’ tutta una questione di cuscinetti. E chissà allora che il destino del governo non sia proprio quello legato al modo in cui Padoan e Renzi riusciranno a schiacciare insieme il pulsante translate. Chissà.

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    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.