La questua deve finire

Francesco Forte

Matteo Renzi, giovane leader del governo di un paese invecchiato strutturalmente e soprattutto psicologicamente, nei suoi due discorsi di investitura ha fatto molte promesse finanziarie ai giovani e agli insegnanti per la scuola, alle imprese e agli autonomi per il rimborso di una montagna di crediti della Pubblica amministrazione, ma ha dimenticato di rivolgere un appello analogo a quello di John Fitzgerald Kennedy, giovane presidente di un paese giovanile come gli Stati Uniti che suonava così: “Non chiedete al governo del paese che cosa può fare per voi, ma a voi stessi che cosa potete fare per il vostro paese”.

Lo Prete L’Europa è tosta pure con Matteo

    Matteo Renzi, giovane leader del governo di un paese invecchiato strutturalmente e soprattutto psicologicamente, nei suoi due discorsi di investitura ha fatto molte promesse finanziarie ai giovani e agli insegnanti per la scuola, alle imprese e agli autonomi per il rimborso di una montagna di crediti della Pubblica amministrazione, ma ha dimenticato di rivolgere un appello analogo a quello di John Fitzgerald Kennedy, giovane presidente di un paese giovanile come gli Stati Uniti che suonava così: “Non chiedete al governo del paese che cosa può fare per voi, ma a voi stessi che cosa potete fare per il vostro paese”. In particolare questo messaggio sarebbe tempo che fosse indirizzato alla Confindustria e alle analoghe organizzazioni. Esse sembrano misurare la capacità del governo di risolvere il problema dell’economia italiana dall’ammontare di risorse che è in grado di trovare per ridurre il cuneo fiscale, dalla entità dei pagamenti che è in grado di sbloccare nei debiti che il governo centrale e quelli regionali e locali periferici hanno con le imprese.

    Oltre che l’appello kennediano, nei discorsi di Renzi, così ricchi di citazioni e di provocazioni, è mancato un richiamo fondamentale, quello alla produttività del lavoro. E’ questo il tema su cui soprattutto vale la provocazione kennediana, che riguarda la Confindustria. Ma qui la critica a Renzi si applica in pari e anzi maggior misura agli organismi industriali, in cui siedono sia le imprese dell’economia reale sia di quella bancaria. I riferimenti non mancano. Sono i documenti sottoscritti a Detroit dal sindacato dell’auto con Chrysler gestita da Fiat, per lo sviluppo della produttività mediante il contratto aziendale e l’Agenda 2010 voluta da Gerhard Schröder e Angela Merkel per trasformare la legislazione del lavoro tedesca da un sistema verticale a uno orizzontale, con il principio della libertà di contratto. La Germania ha uno stato del benessere simile al nostro e sino a pochi anni fa era il malato dell’Europa, con il più elevato tasso di disoccupazione. Ora non lo è più, anzi è la locomotiva della fiacca Europa. E con lo sviluppo della produttività trae dall’export il motore del pieno impiego e della domanda interna. In Italia la produttività per addetto e per ora lavorata è scesa di continuo nel rapporto con la media europea. L’Italia superava tale media del 10 per cento. In poco più di un decennio ha perso questo differenziale. Le operazioni sul cuneo fiscale che sono state fatte, necessariamente modeste, non hanno sortito alcun effetto benefico. E la richiesta di fare molto di più in questo campo si configura sempre più come un cattivo surrogato alle riforme.

    Ecco dunque il secondo riferimento al compito degli industriali. Se è vero che dobbiamo liberarci dalle pastoie burocratiche, perché continuare a invocare meccanismi a cura della Cassa depositi e prestiti e del governo? Dovrebbero darsi da fare le organizzazioni delle imprese, anche facendo ricorso alle banche internazionali, per elaborare e proporre nuovi strumenti di factoring per sbloccare i crediti incagliati verso le Pubbliche amministrazioni. E ancora, dove è finito il ricorso al project financing per gli investimenti in infrastrutture? Ciò che va rottamata è la mentalità che si è radicata con la venerazione del modello neocorporativo.

    Lo Prete L’Europa è tosta pure con Matteo