Amazon schianta il mercato dell'editoria, ma si perde di fronte al romanticismo del libro

Redazione

Tutto dipende dalla domanda che ci si pone. I lettori del New Yorker hanno pensato di aver trovato quella giusta sulla più grande libreria del mondo, che incidentalmente è un leviatano della new economy guidato da uno dei capitalisti più ambiziosi degli ultimi decenni, e che incidentalmente più che una libreria è un mostruoso sistema logistico interessato ai libri solo perché sono dei mattoncini che si inscatolano e si spediscono facilmente. L’oggetto della domanda è Amazon, a porsela è stato George Packer in un articolo che gira su decine di pagine.

Ferraresi Nativi cartacei

di Eugenio Cau

    Tutto dipende dalla domanda che ci si pone. I lettori del New Yorker hanno pensato di aver trovato quella giusta sulla più grande libreria del mondo, che incidentalmente è un leviatano della new economy guidato da uno dei capitalisti più ambiziosi degli ultimi decenni, e che incidentalmente più che una libreria è un mostruoso sistema logistico interessato ai libri solo perché sono dei mattoncini che si inscatolano e si spediscono facilmente. L’oggetto della domanda è Amazon, a porsela è stato George Packer in un articolo che gira su decine di pagine. In vent’anni Amazon è passata da essere l’utopia commerciale di un ex broker a principale dominatore del mercato del libro – e anche se nel frattempo è diventata l’“Everything store”, come dice Brad Stone, è sempre rimasta soprattutto una libreria. Tra l’una e l’altro momento sono passate diverse fasi (promettente emergente, concorrente, minaccia incombente), e sempre quello che tutti si sono chiesti mentre vedevano Amazon conquistare quote di mercato era: cosa farà Amazon all’industria del libro? – che succede se la più grande libreria del mondo è su internet, vende a prezzi stracciati e tiranneggia i giganti dell’editoria? Secondo Packer la domanda è sbagliata. Ormai è abbastanza facile capire cosa Amazon intenda fare con i giganti dell’editoria: renderli irrilevanti – e lo stesso articolo di Packer contiene un elenco dei modi infiniti con cui Amazon ha brutalizzato le Big Six, le sei (oggi cinque, dopo l’unione di Penguin e Random House) grandi case editrici americane. Resta da capire quale sarà l’effetto di Amazon su quei mattoncini di carta che si infilano così bene nelle scatole standard da spedizione e che ancora costituiscono la base su cui si fonda gran parte della cultura internazionale (e della democrazia americana, arriva a dire Packer). Da qui la domanda: che cosa farà Amazon al libro?

    Amazon ha ridotto le grandi case editrici (quelle americane, soprattutto) al fantasma di se stesse. Certo, la crisi era in corso già da prima, ha a che vedere con la digitalizzazione e va molto oltre la sola Amazon, ma se chiedete a chi lavora dentro l’editoria, il colpevole è sempre uno solo, e ha sede a Seattle. Questo sempre che qualcuno risponda. Come racconta Laura Bennett su New Republic, l’industria del libro è così spaventata da Jeff Bezos e dalla sua Amazon (che nel tempo ha sviluppato un eccellente armamentario di punizioni per le case editrici che non rispettano i suoi dettami, dall’improvvisa sparizione del colpevole dalle ricerche sul sito alla guerra dei prezzi degli ebook) che nessuno tranne pochi “dissidenti” se la sente di parlarne, e i giornalisti che vogliono fare un’inchiesta su Amazon si ritrovano a intervistare sempre gli stessi. Lo stesso Packer, dopo aver prodotto più di 70 mila battute sul New Yorker, ha sentito l’esigenza di scrivere un altro articolo per il sito del giornale in cui lamentava l’ossessione per la segretezza che vige ad Amazon: se sei dentro, meglio non raccontare cosa succede. Tanto più ora che Amazon sta per farsi editore per davvero, che attiva servizi di self publishing, che appare sempre più interessata a sostituirsi ai player dell’industria del libro non solo come distributore e venditore di libri, ma anche come produttore – ruolo che da sempre è pertinenza delle case editrici.

    Ma c’è una differenza enorme tra Amazon e una casa editrice: ad Amazon i libri non interessano. E’ una questione di business anzitutto. Per Amazon, si diceva, i libri non hanno un valore intrinseco differente da quello di una scatola di surgelati, l’unica differenza è che i secondi deperiscono, ed è meno conveniente spedirli (ma in America Amazon riesce a spedire pure quelli). Nell’industria del libro Jeff Bezos ha trovato una lunga serie di intermediari e di costi inutili che il suo sistema logistico è riuscito a soppiantare, tirando sui prezzi. Oggi i margini del mercato editoriale non sono mai stati così bassi, e la colpa è in gran parte di Amazon. Che non vuole vendere libri, vuole vendere se stessa come infrastruttura universale, e poco importa se senza margini sufficienti le case editrici non hanno mezzi per reinvestire sulle nuove pubblicazioni e sui nuovi autori. Ma è anche una questione di cultura. Non è solo Amazon in quanto business a non essere interessata ai libri. Gli uomini dentro ad Amazon non leggono – o meglio, si rovinano gli occhi sui report aziendali, ma in pochi si tengono tempo per un romanzo. Alle pause caffè nessuno chiede agli altri: “Che state leggendo in questi giorni?”, e gli algoritmi hanno sostituito quasi del tutto la striminzita redazione che scriveva recensioni e che leggeva i libri per consigliarli ai lettori – una follia quando basta nutrire una macchina di qualche milione di dati per ottenere a costo zero informazioni infinitamente più preziose sulle preferenze degli utenti. La più grande libreria del mondo non ama i libri, non prova per loro nessun interesse. E questo, quando ci si chiede cosa farà Amazon al libro, potrebbe essere un elemento preoccupante, specie se la più grande libreria del mondo dovesse diventare anche l’unica.

    Poi c’è un discorso a parte, che è quello sugli ebook e sulla digitalizzazione. Il fenomeno è di quelli epocali e trascende Amazon, è una transizione che avverrà – per gradi, ma avverrà – indipendentemente dai voleri di Jeff Bezos. E’ una questione di antropologia prima ancora che di business: oggi i bambini piccoli – i nativi digitali ormai alla seconda o terza generazione – le pagine dei libri cercano di farle scorrere col dito. Ma Amazon, che nel mercato degli ebook è quasi monopolista (65 per cento) ha plasmato ancora una volta l’industria a sua immagine. Ha costretto le case editrici a prezzi ridicolmente bassi, e quando queste si sono accordate con Apple per alzarli è nata una causa strana, in cui il monopolista difende i prezzi bassi dalla concorrenza.

    C’è il digitale ad assediare il libro di carta, c’è la freddezza logistica di Amazon, forse c’è anche la storia. Fino a poco tempo fa qualunque designer avrebbe indicato il libro come una tecnologia quasi perfetta. Trasportabile, facilmente fruibile, quasi indistruttibile: difficile pensare a un metodo di trasmissione culturale più efficiente. Per 500 anni è stato così, negli ultimi 20 sembra essere cambiato tutto, ora il libro di carta è minacciato, ferito a morte dal digitale, preso in ostaggio da una banda di ingegneri di Seattle. Ma il libro vive, cambia, evolve. Dall’America arriva notizia della resurrezione delle librerie indipendenti, e i profeti della mutazione antropologica, per ora, sono smentiti dai sondaggi. Come racconta il New York Times, più del 60 per cento dei giovani americani continua a preferire il libro cartaceo all’ebook. Amazon schianterà i giganti dell’editoria e riempirà le nostre case di supporti di lettura digitale. Ma la carta è dura a morire, soprattutto conserva quel romanticismo che Amazon dimentica persino nelle pause caffè.

    Ferraresi Nativi cartacei

    di Eugenio Cau