La famiglia è un dogma

Matteo Matzuzzi

Domani si aprirà il concistoro straordinario sulla famiglia, prima tappa verso il Sinodo straordinario di ottobre. Due giorni di riunioni tra il Papa e i cardinali presenti a Roma, con la relazione introduttiva affidata al cardinale Walter Kasper, teologo e presidente emerito del Pontificio consiglio per la promozione dell’Unità dei cristiani. Alla vigilia dell’evento, il Foglio ha intervistato il professor don Juan José Pérez Soba, ordinario di teologia pastorale del matrimonio e della famiglia al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia presso l’Università Lateranense.

    Domani si aprirà il concistoro straordinario sulla famiglia, prima tappa verso il Sinodo straordinario di ottobre. Due giorni di riunioni tra il Papa e i cardinali presenti a Roma, con la relazione introduttiva affidata al cardinale Walter Kasper, teologo e presidente emerito del Pontificio consiglio per la promozione dell’Unità dei cristiani. Alla vigilia dell’evento, il Foglio ha intervistato il professor don Juan José Pérez Soba, ordinario di teologia pastorale del matrimonio e della famiglia al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia presso l’Università Lateranense.

    Alcune conferenze episcopali europee hanno diffuso i rapporti sulle risposte al questionario su famiglia e matrimonio inviato alle diocesi lo scorso novembre in vista del Sinodo del prossimo ottobre. Dai primi dati emerge un chiaro distacco tra l’insegnamento della chiesa cattolica e la prassi seguita dai fedeli sulla pastorale familiare. A suo giudizio, è necessario un aggiornamento della Familiaris Consortio di Giovanni Paolo II o quel testo rimane ancora centrale?

    Juan José Perez Soba. “Dobbiamo avere uno sguardo ampio. E’ una questione culturale. Dobbiamo vedere le cose in serie, come tre tappe. Il Concilio Vaticano II è la prima di queste tappe, è l’evento che ha considerato la famiglia come grande realtà dell’attualità. Immediatamente dopo il Concilio, poi, c’è stata la grande rivoluzione sessuale degli anni Sessanta e questo è il fenomeno culturale di cui dobbiamo essere coscienti. La seconda tappa è la Familiaris Consortio, che va considerata non soltanto  come una semplice risposta ai problemi ma anche come opera d’evangelizzazione. Non dobbiamo, infatti, solo rispondere ai problemi che si moltiplicano, ma dobbiamo fare della famiglia un Vangelo. Questa è la Familiaris Consortio. Il problema è che in tante cose questo testo non è stato accolto: per esempio, esso raccomanda di creare direttori di pastorale familiare. Ma solo Spagna e Italia hanno dato attuazione a quella richiesta. Le conferenze episcopali che parlano di più in vista del Sinodo non hanno fatto niente in senso di pastorale globale. Si sono concentrate solamente sulla risoluzione di problemi tecnici, non sulla proclamazione del Vangelo. La chiesa non ha, oggi, una propria pastorale familiare. E questo è incredibile. Fare una critica alla Familiaris Consortio in questo senso è vedere le cose semplicemente come problemi ai quali dare risposta. E’ una visione in cui la chiesa sta dietro al mondo. Il mondo va e la chiesa è sempre dietro. Ma non può essere questa la posizione della chiesa. Essa è luce del mondo! Deve proporre qualcosa che salvi il mondo. E questa proposta è appunto contenuta nella Familiaris Consortio. La terza tappa è la Caritas in Veritate di Benedetto XVI. Il grande cambiamento culturale dopo il documento di Giovanni Paolo II, infatti, è l’ideologia di genere. Non tanto come realtà, perché era già presente nella rivoluzione sessuale degli anni Sessanta (la sessualità è cosa meramente biologica). Il problema è che l’ideologia di genere è diventato un tema politico. Anche arrivare al cuore della famiglia come tale sembra essere assolutamente relativizzato. Siamo davanti a una nuova sfida a livello politico e sociale. La Caritas in Veritate ci dice che l’amore è veramente la soluzione  per la società. Si parla sempre di amore, ma in politica non lo si vede mai, in economia neppure. L’amore non è veramente quello che costituisce la realtà sociale, ma semplicemente qualcosa di piccolo che serve alle persone per essere soddisfatte. Invece, come ci dice l’enciclica di Joseph Ratzinger, l’amore è la realtà più grande della vita. La famiglia è di nuovo presentata come il modello fondamentale della realtà sociale. Soltanto così la chiesa ha la coscienza della sua missione, che è il Vangelo della famiglia. Non i problemi, che si moltiplicano sempre. Alcune conferenze episcopali pensano che se si cambia una norma, il problema non esiste più. Ma questo è assolutamente falso. Il problema vero è quello di una persona che non è capace fare dell’amore il fondamento della sua vita. Questo è il problema, e non si risolve con una norma. Si risolve con il Vangelo. La Familiaris Consortio è dunque profetica, dice che il futuro della umanità dipende dalla famiglia. E questa convocazione al Sinodo che ha fatto Papa Francesco pone come primo riferimento proprio il Vangelo: non si deve giungere tanto alla risoluzione di un problema, ma riproporre il tema della centralità della famiglia”.

    Cosa si può dire in merito alle voci sempre più forti – provenienti in particolare dall’episcopato tedesco –  che mettono in discussione la dottrina dell’Humanae Vitae?

    Perez Soba. “Ciò che diceva l’Humanae Vitae è accaduto. Possiamo vedere cosa succede se non si prende l’Humanae Vitae come cosa seria, si banalizza il sesso. Guardiamo cosa è accaduto dove è stata rifiutata l’Humanae Vitae, dove si dice “non l’abbiamo ricevuta”. Oggi siamo coscienti della conseguenza di non aver visto nell’enciclica di Paolo VI un avviso profetico. Questo lo notano anche e soprattutto molti osservatori non cristiani, come Badiou in Francia, Bauman in Inghilterra, e il coreano Byung-Chul Han in Germania”.

    Da più parti si intravedono segnali che al Sinodo in gioco ci sarà proprio il concetto di famiglia. Comporterebbe dei rischi, questo scenario?

    Perez Soba. “Al Sinodo è in gioco la famiglia. Cosa pensiamo sia la famiglia? Cosa pensiamo che Dio abbia detto che è la famiglia? E’ un po’ come diceva Gesù, quando domandava cosa la gente dicesse che lui era. Ma cosa dicevano gli apostoli di Lui? Questo era essenziale. A tal proposito, sono interessanti le parole di Benedetto XVI a conclusione del Sinodo sulla nuova evangelizzazione del 2012. In quella sede il concetto di famiglia è tornato fuori tante volte. Il Papa oggi emerito disse allora che c’era un rapporto grande tra fede e famiglia. Dove c’è famiglia c’è fede. Dove non c’è famiglia, neanche la fede è presente. Così lo dimostrano gli studi sociologici di Mary Eberstadt. Non possiamo vedere l’amore come una serie di dati oggettivi oltre ai quali non capiamo nulla. Il desiderio degli uomini è la famiglia, è un dato sociologico assoluto. La famiglia intesa come legami tra padre madre e figli è il valore massimo della nostra società. Famiglia autentica, non altri modelli. La nostra è una società ideologica, una cultura ideologica, quella che si comporta da inquisitore che non permette che questo desiderio reale delle persone sia pubblico. La chiesa non può cadere in questa trappola. E’ chiaro che una chiesa che si sente debole ha bisogno di avvicinarsi alle persone, ma non sa come. Questa chiesa può cadere in questa tentazione, dicendo noi ‘parliamo come tutti così siamo più vicini’. Quando la chiesa non dice qualcosa di nuovo, la chiesa ha perduto la forza della sua missione. Questo è chiarissimo nell’esperienza pastorale diretta”.

    Sarebbe dunque un errore cadere nella tentazione di adeguarsi allo spirito dei tempi, come fanno intendere invece alcune conferenze episcopali europee a seguito della pubblicazione dei risultati del Questionario sul Sinodo inviato alle diocesi?

    Perez Soba. “In duemila anni, si possono determinare almeno cinque rivoluzioni sessuali. Prendiamo una delle prime rivoluzione sessuale, quella del XII secolo, l’amore cortese. Cosa ha fatto la chiesa davanti a ciò? Ha risposto con una nuova proposta culturale, soprattutto con San Bernardo, che ha cambiato la devozione a Maria. Maria, nel gotico, rappresenta un affetto. Diventa la guida, non più solo un’icona come in età romanica. La chiesa risponde con una verità, la chiesa non deve adattarsi ai tempi, deve fare la sua proposta conoscendo i tempi. Quello che trova nei tempi è la sfida di una realtà che permette sempre di più di approfondire il Vangelo. La verità nel Vangelo, non nei fatti esteriori del mondo. Questo è essenziale. Guardare il cuore delle persone, non i dati sociologici. Il problema è una mentalità tecnica, si vogliono risolvere i problemi come se si fosse un mago. Senza guardare alla persona”.

    Non c’è il rischio di banalizzare il concetto di misericordia, termine così tanto usato e a volte abusato?

    Perez Soba. “Si dice che tutto è amore, che tutto è misericordia. No. Misericordia è un tipo di amore molto preciso. Bisogna distinguere bene le cose. Misericordia non è tolleranza né solo compassione. Sono due termini che dobbiamo sempre distinguere. Uno è tolleranza con il male, e questa non è misericordia. Credo che siamo stati noi preti a fare il primo abuso, in questo. Nei funerali usiamo la misericordia per coprire tutto, per fare tutti santi. La misericordia è ciò che guarisce il male, non ciò che lo tollera come se non fosse importante. Dove c’è misericordia già non c’è male. La tolleranza è una falsa misericordia, quella che dice “non è importante” quella ferita. Mi sembra che la visione di Francesco vada in questo senso, quando parla di guarire le ferite. La misericordia è un amore che genera vita. Questo è un concetto molto lontano dalla tolleranza borghese”.

    • Matteo Matzuzzi
    • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.