Lugano bella

Francesco Forte

Il referendum svizzero sugli immigrati e i transfrontalieri, vinto con poco più del cinquanta per cento dai suoi promotori che vogliono mettere limiti all’immigrazione, è deprecato dai soloni dell’Unione europea come contrario alla libera circolazione delle persone e isolazionista. In Italia, in particolare, è dannato dai soloni della sinistra perché nega i diritti di libertà di cui la Svizzera dovrebbe essere patria. E giù lagnanze di tutti, per la cattiveria esterofobica elvetica che ci danneggia.

    Il referendum svizzero sugli immigrati e i transfrontalieri, vinto con poco più del cinquanta per cento dai suoi promotori che vogliono mettere limiti all’immigrazione, è deprecato dai soloni dell’Unione europea come contrario alla libera circolazione delle persone e isolazionista. In Italia, in particolare, è dannato dai soloni della sinistra perché nega i diritti di libertà di cui la Svizzera dovrebbe essere patria. E giù lagnanze di tutti, per la cattiveria esterofobica elvetica che ci danneggia.

    Ma nessuno si chiede perché la Svizzera abbia deciso, sia pure con una piccola maggioranza, di limitare l’immigrazione dall’Unione europea e di stabilire una “quota” di frontalieri, per tutelare la propria identità e il proprio ambiente che rischiano la distruzione tramite la congestione e gli squilibri che di questo passo si creano. La Svizzera ha un eccesso di immigrati da paesi “ricchi” e noi di immigrati da paesi poveri. Se la gente che sta nell’Eurozona desidera andare in Svizzera, mentre non accade il contrario, ci devono essere ragioni per tale asimmetria. Dunque, si dovrebbe cercare di capire perché Europa è peggio di Svizzera, dato che entrambe sono strutture con una sola moneta (euro e franco svizzero), con una pluralità di stati o cantoni composti di etnie e culture diverse, comuni a entrambe: tedesca, francese e italiana. E le imprese italiane vanno a ubicare gli stabilimenti in Svizzera, paese ad alti salari, nel quale affluiscono addetti transfrontalieri dall’Italia, ove i salari sono minori. Sicché le nostre imprese sono disposte a pagare costi del lavoro più alti in Svizzera. Ecco. La risposta a questo paradosso è che in Svizzera non ci sono le complicate regolamentazioni sindacali italiane, i contratti di lavoro sono flessibili e a livello aziendale. I regolamenti igienici, urbanistici, ambientali e di sicurezza svizzeri sono seri, ma non oscuri, vessatori. Le imposte sulle imprese sono ragionevoli e i contributi sociali danno luogo a pensioni basate su quanto si è pagato. C’è il segreto bancario e non è lecito violarlo con il redditometro basato sulle spese segnate nei conti correnti.

    Se noi adottassimo regole analoghe, non ci sarebbe motivo per mettere gli stabilimenti appena oltre il confine svizzero, come quello tessile di Zegna. Se l’Italia non tergiversasse e non avesse pretese moleste per l’accordo fiscale sui capitali italiani nelle banche svizzere, quasi certamente il referendum sarebbe stato respinto, sia pure con piccolo margine. Ce la siamo cercata noi. Comunque, non mi pare che il risultato sia così dannoso per i nostri frontalieri e per i nostri emigrati in Svizzera. Infatti, con la “quota frontaliera” si eviterà l’assurdo di avere immigrazioni nelle province di Varese, Como e Sondrio dai paesi terzi, onde poter lavorare in Svizzera risiedendo in tali province fruendovi di servizi sociali e scolastici, senza pagare l’imposta sul reddito e contributi. Le imprese italiane, avranno ora un motivo in più per domandare alla Confindustria perché si continua a lamentare solo del cuneo fiscale invece che chiedere la liberalizzazione del mercato del lavoro, modello Marchionne, e regole proprie dello stato di diritto. Ciò, invece che affannarsi a cercare espedienti, come collocare qualche stabilimento al di là della frontiera e la propria residenza a Lugano mantenendo, al di qua le pigre abitudini del consociativismo e le strizzate d’occhio ai poteri a esso connessi.