Giovani creativi, più affamati che folli

Simonetta Sciandivasci

Giovani, carini e disoccupati, gli italiani tra i venti e i trent’anni tengono botta con uno spaghetto. Affamati e folli che sfamano altri affamati e folli. Ragazzi “straordinari, perché non trovando lavoro, sono costretti a fare impresa”. Parola del patron di Eataly Oscar Farinetti ai microfoni di “Polifemo”, il nuovo programma di Mtv sui giovani che si danno da fare, primi fra tutti quelli che il mestiere lo inventano ai fornelli. La prima puntata (il programma è iniziato a fine gennaio e va in onda tutti i martedì) era intitolata “Uno spaghetto ci salverà”, con Mr. Eataly padrino d’eccezione, ha decretato che il cibo è il prodotto Made in Italy su cui puntare per uscire dalla crisi. Non proprio un concetto d’avanguardia.

    Giovani, carini e disoccupati, gli italiani tra i venti e i trent’anni tengono botta con uno spaghetto.
    Affamati e folli che sfamano altri affamati e folli. Ragazzi “straordinari, perché non trovando lavoro, sono costretti a fare impresa”. Parola del patron di Eataly Oscar Farinetti ai microfoni di “Polifemo”, il nuovo programma di Mtv sui giovani che si danno da fare, primi fra tutti quelli che il mestiere lo inventano ai fornelli. La prima puntata (il programma è iniziato a fine gennaio e va in onda tutti i martedì) era intitolata “Uno spaghetto ci salverà”, con Mr. Eataly padrino d’eccezione, ha decretato che il cibo è il prodotto Made in Italy su cui puntare per uscire dalla crisi. Non proprio un concetto d’avanguardia e Vito Foderà, autore e conduttore del programma, lo sa bene e ne fa il punto focale: per salvare l’Italia non c’è bisogno di inventare niente, abbiamo già tutto, dobbiamo solo sfruttarlo. Beato lui: non ha paura del Jep Gambardella dentro di sé  (Jep è il protagonista, vizioso e inconcludente, dell’ultimo film di Sorrentino), non teme l’ottundimento da "Grande Bellezza" e vuole tornare alle origini, al Made In Italy – ma al diavolo pure quello, diciamo “cose italiane”!

    E allora evviva, vien da credere che ci crede, che è uno scolarca del nazionalismo del fare, tanto che si è disposti a tollerare l’altro passo non proprio di avanguardia: raccontare giovani creativi/maxi laureati prestati all’agricoltura e alla tavola imbandita. Disegnatori industriali di torte; avvocati che mollano la pratica per la zappa; ristoratori alla conquista degli Stati Uniti con container di pecore siciliane; hamburgeraie che dicono cose tipo “questa è pop cuisine! Basta con la retorica del km zero” – giusto per scansarsi dall’ideologismo spicciolo.

    Tutti personaggi che, con un paio di eccezioni, erano partiti per fare altro nella vita e poi hanno capito l’importanza di obbedire allo stilema di Steve Jobs: essere affamati e folli.
    Per ora sono solo affamati.

    Va tutto bene: la cucina concettuale, stradale, gourmet, cliché, 50 sfumature di amatriciana, il cocktail futurista proibizionista. Va bene persino quello che “Io non so cucinare, manco l’uovo al tegamino me so fà”, perché secondo lui l’importante non è ciò che mangi: “è er concetto che conta”. Ci vuole talento a diventare ristoratori senza capire nulla di cucina: bisogna essere ottimi parvenu, affabulatori, geniali situazionisti. Doti che non possono mancare all’Italia contro la crisi.

    Tuttavia, non si vive di exit strategy: sarebbe bello restare umani ed evitare di confondere la fantasia a responsabilità limitata con la follia, quella jobsiana, ovvero l’ulissismo, la tracotanza, insomma la miscela del progresso. I ragazzi straordinari di Farinetti dovrebbero tentare imprese disperate e mettere poesie nei barattoli, al posto della panzanella (anche la poesia è una cosa italiana). Ragazzi che non ripieghino sulla cucina e vogliano andare dove porta l’anelito o il je ne sais quoi, non dove ci sono i veri valori di una volta, che poi è sempre il tinello delle nonne.

    Sì, è complicato. La gente non ama la tracotanza e tra Modigliani e il culatello sceglierà sempre il culatello, ma la soluzione mica è incartare salumi in una stampa della "Colazione sull'erba" di Monet.
    Foderà è andato in onda mentre l’Italia venti-trentenne dibatteva con fomento (la questione è tuttora aperta, tipo maritozzo) la campagna lanciata da Zero, il magazine del che fare stasera?, per il rispetto dei lavori creativi. Tre video (diventati subito virali) di denuncia contro l’abitudine di non pagare le prestazioni professionali di musicisti, attori, scrittori, illustratori, fotografi, free lance sprovvisti di albo, impossibilitati a far cassa e casta, cui si corrisponde non un congruo stipendio, bensì un’ aleatoria occasione di visibilità. Ahi, vergogna, #stipendiatecitutti, che colpa ne abbiamo se siamo troppo ribelli per lavorare in ufficio, al massimo apriamo un ristorante creativo.

    Lo scrittore mantovano Antonio Moresco ha scritto libri per decenni. Nessuno gli ha mai dato retta fino a qualche anno fa. E’ quasi morto di dissenteria per gli stenti, ma non si è mai messo a fare gianduiotti in casa. Leggere “Lettere a nessuno” aiuterebbe. In fondo, aiuta anche “Polifemo”.

    #polifemo @mtvitaly: si parla di autoimprenditorialità finalmente!Condividere tradizione con innovazione è l'unica speranza per l'Italia

    — Florinda (@Florindamag) 4 Febbraio 2014