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Whatever works
Whatever works vuol dire “basta che funzioni”. Non si parla del laptop o dell’automobile, che non c’entrano con il nichilismo relativista, si parla della famiglia. Anzi, nel film di Woody Allen con questo titolo, si parla della famiglia patchwork, allargata in modo birichino. Differenza sessuale, come da natura e da Bibbia (Ge 1-27 “Dio creò l’uomo a sua immagine; lo creò a immagine di Dio; li creò maschio e femmina”)? Ma no, se ne può fare a meno se l’amore o la cultura lo comandi: basta che funzioni. Questione di gender.
Whatever works vuol dire “basta che funzioni”. Non si parla del laptop o dell’automobile, che non c’entrano con il nichilismo relativista, si parla della famiglia. Anzi, nel film di Woody Allen con questo titolo, si parla della famiglia patchwork, allargata in modo birichino. Differenza sessuale, come da natura e da Bibbia (Ge 1-27 “Dio creò l’uomo a sua immagine; lo creò a immagine di Dio; li creò maschio e femmina”)? Ma no, se ne può fare a meno se l’amore o la cultura lo comandi: basta che funzioni. Questione di gender. Aborto anche un po’ su con i tempi di gravidanza? Vorrete mica porvi problemi etici su un embrione, quando è in gioco l’esercizio della libertà personale. Ai danni di un Altro? Ma via: basta che funzioni. E così per tutto, un delirio tra filosofia e mistica del presente Assoluto. E’ per questo che sono belli, moderni, svelti, ruffiani, anzi piacionissimi, i film di Woody Allen.
Non voglio vendicarmi. Sono ratzingeriano, tendenza Allen. Cioè so che il talento è il talento, che se uno nasce stand-up comic, se diventa il poeta della Manhattan che è in tutti i cittadini di questo mondo, anche negli stronzi, in fondo ha il dovere morale di essere ateo e di dichiararlo a Vanity Fair.
Proteggerlo o aggredirlo in funzione del suo talento è segno di mediocrità abissale. Eppoi, quanto all’ateismo, io che non ho mai deciso che cosa sono, non ho titoli per insegnare a lui o ad altri che cosa essere. Né mi sono fatto un’opinione precisa sulla storiaccia raccontata dalla figlia adottiva di W. A. con la sua lettera al New York Times. Lui dice che è falsa, gli credo sulla parola. Aggiunge che è “patetica”, e in effetti lo è, letteralmente: è infelicemente maliziosa, però, la sfumatura del suo dire della lettera di Dylan Farrow che è “patetica”, vuole significare che la figlia intende, lei sì, vendicarsi di lui esibendo il patetismo di una faccenda che sa di stupro di una vita. Insomma Woody insinua, disperato e in difesa ma pur sempre cinico. Ma che ci volete fare. Lui è fatto così: basta che funzioni.
Se la storia fosse vera, sarebbe un caso clinico prima ancora che criminale. Grave. Con delle conseguenze, diciamo così, molto patetiche. E a quel punto nulla più funzionerebbe. Anche perché ci siamo educati per correttismo politico e in odio puritano alla chiesa cattolica, e alla sua fallibile tenerezza e misericordia, alla mostrificazione dei rapporti con l’infanzia; e oggi Nabokov, Balthus e Salinger – altri tre dal notevole talento – sarebbero arrestati da qualche comitato e processati come nel romanzo di Kafka. Fosse possibile, arresterebbero anche il capo dei pedofili, cioè il papa di Roma. Ci sono infatti più cose tra cielo e terra, eccetera; ma non funzionano, in genere, nonostante l’ottimismo straccione della filosofia di Woody Allen. Il mondo non funziona, ed è possibile immaginare, contro ogni procedura mentale garantista, che quella storiaccia sordida raccontata tanti anni dopo e in un contesto familiare molto patchwork sia vera. E questo è un primo guaio serio.
Il vero guaio arriva quando si pensi che la storia sia falsa. Facile pensarlo per me e per altri pochi che non si bevono l’apocalissi grottesca di chi ha medicalizzato l’esistenza mettendole una camicia di forza, tendenza manicomiale. A Rignano Flaminio, qui dietro la porta di casa, e in mille altri processi pubblici internazionali a mostri pedofobi circolarono molte storie false. I rapporti di famiglia, basta che non funzionino, ecco che diventano un accumulo di dolore, di veleno e di fantasticheria dell’oppressione personale, a tutti i livelli, a tutte le età, specie in bocca a bambini tragicamente mal cresciuti. Niente è più doloroso che ricordare male, sulla scala spettrale del desiderio rimosso, direbbero i freudiani, un rapporto anaffettivo tra una figlia e un padre; quella lettera, nel caso secondo me probabile di una evocazione forzata e malevola verso sé stessi di circostanze domestiche oggi sotto la luce dei riflettori, in una Manhattan meno innocente di quanto pensino i suoi reggitori puritani, è un suicidio mascherato da omicidio.
Ma se non mi vendico, e limito la vendetta alla sua sconcia e cinematicamente efficace attitudine al relativismo etico, per lui non piango. Faccio come lui. Non piango, ma non insinuo. Non ne ho bisogno. In fondo, basta che funzioni. Whatever works.


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