Anche le colombe sono feroci

Maurizio Stefanini

“Uccellacci e uccellini”, era la parabola di Pier Paolo Pasolini sui francescani Frate Ciccillo e Ninetto: capaci di evangelizzare i pennuti, ma non di convincere i più forti a non nutrirsi dei più deboli. Lì erano i falchi e i passeri i simboli delle “classi antagoniste”, mentre il corvo che raccontava la storia era “un intellettuale di sinistra – diciamo così – di prima della morte di Palmiro Togliatti”, destinato a venire mangiato a sua volta.

    “Uccellacci e uccellini”, era la parabola di Pier Paolo Pasolini sui francescani Frate Ciccillo e Ninetto: capaci di evangelizzare i pennuti, ma non di convincere i più forti a non nutrirsi dei più deboli. Lì erano i falchi e i passeri i simboli delle “classi antagoniste”, mentre il corvo che raccontava la storia era “un intellettuale di sinistra – diciamo così – di prima della morte di Palmiro Togliatti”, destinato a venire mangiato a sua volta. Simbologie a geometria variabile: nei cieli di San Pietro, invece, sono stati corvi e gabbiani a far scempio delle colombe della pace appena liberate. Ma davvero le colombe sono animali di pace? “Verrà il giorno in cui ciascuna delle due parti in guerra avrà la possibilità di annientare completamente l’altra. Forse verrà il giorno in cui tutta l’umanità sarà divisa in due campi. Ci comporteremo allora come le colombe o come i lupi? Sarà la risposta a questa domanda a decidere del destino dell’umanità”. Una domanda dal sapore biblico, quella che si poneva il padre dell’etologia Konrad Lorenz nel suo bestseller “L’anello di Re Salomone”.

    Ma l’incubo, secondo lui, erano proprio le colombe: “Un duello fra due tortore può sembrare innocuo per quei colpi lievi di becco e per quei piccoli schiaffi con le ali, ma il tutto si può trasformare in una tragedia”, raccontava. “Una volta, mi proposi di ottenere un incrocio fra due tortore; presi quindi una tortora maschio e la misi in un’ampia gabbia con una tortora femmina. All’inizio non presi molto sul serio le piccole baruffe dei due: come avrebbero potuto farsi male? Me ne andai e il giorno dopo mi trovai di fronte a uno spettacolo orrendo. La tortora maschio giaceva a terra e aveva la nuca, il collo e tutto il dorso fino alla radice della coda talmente martoriati da formare un’unica sanguinolenta ferita. Ritta nel mezzo di questa piaga c’era l’altra colomba che continuava a frugare col becco nelle ferite. Eccetto alcuni pesci non ho mai visto nel corpo di un vertebrato piaghe così orribili provocate da un membro della sua specie”.

    Quando l’uomo inventò le armi, dunque, per Lorenz la sua posizione “fu a momenti quella di una colomba che per un qualche lusus naturae assolutamente eccezionale si ritrovi improvvisamente il becco di un corvo”. All’opposto, l’homo homini lupus non sarebbe affatto quel che sosteneva Hobbes, ma addirittura una situazione evangelica, in virtù di quell’istinto ritualizzato per il quale, quando un lupo sconfitto in combattimento porge la propria gola al vincitore in segno di resa, diventa da quell’istante inviolabile. Lorenz si confessava “profondamente commosso e ammirato di fronte a quel lupo che non può azzannare la gola dell’avversario, e ancor di più di fronte all’altro animale, che conta proprio su questa sua reazione! Un animale che affida la propria vita alla correttezza cavalleresca di un altro animale! C’è proprio qualcosa da imparare anche per noi uomini! Io per lo meno ne ho tratto una nuova e più profonda comprensione di un meraviglioso detto del Vangelo che spesso viene frainteso, e che finora aveva suscitato in me solo una forte resistenza istintiva: ‘Se qualcuno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra…’. L’illuminazione mi è venuta da un lupo: non per ricevere un altro schiaffo devi offrire al nemico l’altra guancia, no, devi offrirgliela proprio per impedirgli di dartelo!”.

    Insomma, gli stereotipi ingannano: anche e soprattutto se riferiti alle bestie. A sua volta l’egittologo Christian Jacq, quello dei famosi romanzi su Ramses “figlio della Luce”, in un suo libro divulgativo per insegnare a leggere e scrivere i geroglifici, spiegava che gli egizi per indicare il padre e la madre usavano, rispettivamente, un serpente e un avvoltoio. Il serpente, perché per i popoli del deserto rivela la presenza di acqua, e dunque un’energia vitale fecondatrice. L’avvoltoio, perché “è l’uccello che si prende cura dei suoi piccoli con la massima attenzione”. Titolo del paragrafo: “Mia madre, questo avvoltoio!”.